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Heaven's Door-la Breccia Nelle Nubi

Aperto da uriel karlum, 3 Febbraio 2007, 21:21:41

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uriel karlum

oggi nn sapevo che fare... :frusty:  così vi rompo un po' le scatole co' sto racconto. è solo l'inizio, e mi scuso in anticipo per imprecisioni e scorrettezze grammaticali...

Prologo.

La tenebrosa caverna incombeva sui due uomini immobili al suo centro, prossimi ad un enorme portale di pietra arricchito da numerose rune antiche più del mare.
Solamente l'irregolare luce vermiglia di una torcia spezzava l'oscurità annidata tra le imperiose stalattiti, accompagnata dall'atono gocciolio dell'acqua che, ripetitivo e lacerante, sferzava il silenzio, padrone incontrastato dell'intera grotta.
L'opprimente umidità presente nell'aria dipingeva i respiri affannati dei due personaggi, danzava nel buio graffiato dai lampi cremisi ed infine si posava sul gelido pezzo di metallo puntato verso l'individuo più vicino alla maestosa porta di roccia.
«non avrai la seria intenzione di colpirmi, vero Tharius?» disse l'uomo sotto il tiro della minacciosa punta affilata; lentamente, abbassò le braccia poco prima alzate in segno di resa, storpiando il suo volto di un sorriso maligno.
«no... non ne hai il fegato... anche se credo di conoscere il motivo di tutto ciò» proseguì, «ma vedi, Meredyl era un sacrificio necessario...»
«taci!» esplose l'altro, impugnando l'elsa con foga sempre maggiore, «devi stare zitto, non sei degno di pronunciare il suo nome!»
Ma il figuro non si scompose. Si rabbuiò d'improvviso, voltò le spalle all'arma e si avviò a passo deciso verso il massiccio portale, ignorando ogni possibile reazione del suo antagonista.
«sei uno stolto... come puoi non vedere?» esordì, l'enfasi gli permeava la voce mentre sfiorava con le dita la nuda roccia, l'esultanza fuoriusciva dalle orbite spalancate, ma un arcano timore traspariva dal fremito delle mani.
«il fato ci ha riuniti qui, oggi!» d'un tratto l'uomo si volse, le braccia schiuse alla densa oscurità della grotta.
«vieni con me, Tharius... apriamo insieme le porte del cielo!»

7 anni  prima.

144 Leghe acquatiche Est al largo dell'isola di Lane-Yu, Arcipelago Reth'ersen.


Il disco dell'aurora levava i suoi raggi accecanti sotto la coltre di un cielo cupo, soverchiato da cumuli straripanti di pioggia.
Tharius non ci badava. Era concentrato.
Stavano per attaccare una flotta di supporto all'esercito delle Reth'ersen, ma in quel momento l'attenzione dei suoi occhi azzurri era rivolta alla sterminata distesa bluastra di fronte a lui. Oramai mancava poco. Sarebbe stata una battaglia difficile. Il vento danzava tra i corti capelli corvini, piccole onde increspate gli sferzavano le caviglie, mentre sotto di lui il suo drago marino sfiorava dolcemente l'oceano appena sotto il pelo dell'acqua.
Era così anche per le altre centinaia di soldati tutti intorno a lui, ognuno di loro in sella alla propria serpe dalle robuste scaglie opaline. Cavalcavano il mare a velocità vertiginosa, alzando sottili schizzi di schiuma alle spalle senza proferire parola, solo i flebili sussulti delle onde dominavano l'irreale immobilità dell'oceano.
Sei teso, cavaliere? La dragonessa parlò a Tharius inoltrandosi nei suoi pensieri. Tutti i draghi marini usati negli eserciti delle isole Zareio erano femmine. I maschi erano troppo piccoli, inadatti al furore della battaglia, buoni solo per la continuità della specie.
«come sempre, mia cara Meredyl» replicò il giovane, «ma non facciamoci distrarre dalle emozioni. Troppi pensieri uccidono più del nemico.»
Continuarono nella loro corsa sul mare rispettando un rigoroso silenzio.
L'oceano di Shamel sembrava non avere fine.
Erano passati centinaia di anni dall'avvento della grande ondata. Prima di essa, le terre prosperavano floride di una civiltà evoluta. Ma un giorno nefasto tutta l'opulenza faticosamente costruita fu spazzata via da un muro d'acqua senza limite. Solamente i villaggi sulle cime dei monti si salvarono, costringendo le persone che vi abitavano a ridare senso all'esistenza, persi nel centro di un mondo strangolato dal mare.    
L'infinita distesa blu era così costellata da infiniti arcipelaghi, costantemente in lotta tra loro per il predominio globale.
Il segnale del comandante poche file più avanti riscosse Tharius dai suoi pensieri. Ora doveva cancellare la mente, erano finalmente giunti in vista delle navi.

Le armature dei cavalieri possedevano un ampio rigonfiamento sul dorso. All'interno di esso era posto un otre d'aria, che permetteva, attraverso le lunghe diramazioni dell'elmo, di poter respirare per parecchi minuti sott'acqua. I draghi si immersero nelle profondità del mare quasi all'unisono, pronti per portare l'attacco alla flotta dal basso.
Ogni rumore si fece soffocato, mentre il gelido fluido trasparente occludeva le orecchie di Tharius.
Vide intorno a sé le altre sinuose serpi avanzare lente, il loro ritmico ondeggiare pareva quasi una danza propiziatoria per l'imminente battaglia. Procedevano a circa una ventina di passi dalla superficie. Dopo la lunga nuotata, apparvero infine sopra di loro le scure sagome di circa un centinaio di navi.
Fu il respiro di un attimo.
Il comandante si lanciò a velocità spaventosa sulla sua verticale, subito imitato da tutti gli altri cavalieri. Emersero tra vigorose esplosioni d'acqua, trafiggendo senza pietà i fragili scafi delle imbarcazioni. Il caos si propagò tra gli equipaggi con la rapidità di un fulmine. I cavalieri balzarono sui ponti delle navi; sguainarono le spade, lasciando i loro draghi gettare nel panico gli uomini della flotta avversaria.
Tharius si ritrovò sul ponte della maestra. Vide Meredyl scorrere sul fianco sinistro della vascello, sempre pronta a scavalcare il parapetto, qualora ve ne fosse stato bisogno.
Sfoderò la spada, gettandosi nella mischia insieme ad un'altra decina di cavalieri.
Vibrava fendenti precisi, affondi imparabili.
Il piccolo fazzoletto d'acqua in cui si stava svolgendo la battaglia era un unico teatro di grida e lamenti. Il sangue iniziò a riversarsi copioso sui ponti delle imbarcazioni.
Si fece avanti il capitano nemico.
Tentò di colpire Tharius al collo, ma il giovane si abbassò in tempo, evitando la lama di un soffio.
Non riuscì però a vedere il ginocchio dell'avversario. La compatta articolazione del capitano impattò violentemente con la fronte del giovane, gettandolo al tappeto. Alzò la spada pronto per affondare il colpo di grazia, ma possenti fauci lo avvinghiarono per il braccio, trascinandolo tra i caotici flutti.
Non ti si può lasciare solo più di un momento, giovanotto! Tuonò irriverente la dragonessa, forte della sua anzianità. Infatti, mentre per la sua specie era giunta a circa la metà della vita, il suo cavaliere era poco più di un ragazzo, iniziato alla maggiore età solo da qualche anno.
«ti ringrazio Meredyl» ansimò tra gli spasmi della fatica, «fortuna che ti ho al mio fianco.»
Il fragore delle armi andò poco a poco affievolendosi. I lamenti ed i gemiti si spensero, così come il rumoroso tuonare delle onde che si infrangevano sulle navi. La flotta era ormai un muto ammasso di relitti lacerati, spettri immobili tra l'impalpabile foschia che aleggiava sul mare.  
Tharius si stava riallacciando i calzari, quando il suo comandante lo raggiunse sul legno della maestra.
«ti sei comportato bene, oggi. Farò un buon rapporto al generale.»
«vi ringrazio comandante Neteru.» rispose in tono riverenziale.
«dov'è il tuo drago, soldato? Volevo complimentarmi anche con lui.»
«Meredyl? Lei è...» si rese conto che non l'aveva più rivista dalle fasi concitate della battaglia.
Scattò in piedi, tuffandosi nel profondo mare di tenebra.
Tentò l'approccio mentale, ma non ebbe risposta.
Si immerse.
Attraverso la trasparente visiera dell'elmo provò a raggiungerla con lo sguardo. Ma l'oceano sopra e sotto di lui era un muto limbo d'acqua oscura.
Dove sei? Meredyl dove sei finita? Gridò con la forza dei pensieri. Ricevette in cambio l'orrido silenzio dell'immensità acquatica tutta intorno.
La riserva di aria si stava esaurendo. La pressione si faceva sentire sui polmoni, comprimeva con violenza i timpani.
Finalmente sotto i suoi piedi scorse il sinuoso incedere di un'ombra.
Non fece in tempo a capire cosa fosse, che l'ultimo soffio d'aria gli abbandonò il petto, facendogli completamente perdere i sensi.

...



uriel karlum

eccomi qua... ancora una volta ho butato giù queste righe di prima mano... perdonate le cialtronerie lessicali che di sicuro ho combinato...

II

Non ti si può lasciare solo più di un momento, giovanotto! Tuonò irriverente la dragonessa.
Dopo aver trascinato con sé il capitano del vascello, si reimmerse tra i disordinati flutti smossi dalla confusione della battaglia.
Si sentì sballottata tra il groviglio degli altri draghi marini, tutti più giovani di lei.
E state più attenti, branco di pivellini! Sbottò, infastidita com'era dai convulsi attimi della lotta. Oltre l'attenzione che doveva portare verso le altre creature, doveva badare anche alle lance che, numerose, trafiggevano senza sosta la superficie dell'acqua.
Menava violente sferzate con l'oblungo cespuglio di setole con cui terminava la coda; raschiava le fiancate dei vascelli con le durissime scaglie dai riflessi d'oltremare.
L'albero di una imbarcazione poco distante da lei si incrinò sotto la furiosa spinta di un drago. Tutta la nave barcollò, per poi rovesciarsi nel mare. L'asta che reggeva una delle vele precipitò a velocità fulminea senza dare il tempo a Meredyl di reagire. Il legno la colpì tra il collo e la corolla ossea che le circondava il cranio.
Il colpo fu violentissimo; la dragonessa perse i sensi, smarrendo totalmente la coscienza del tempo e dello spazio.
Sentì il suo corpo sprofondare nell'infinito baratro tenebroso dell'oceano.
Quando riaperse le azzurre iridi, si vide circondata da una immobile oscurità. Aveva raggiunto il fondo.
Le pupille dei draghi della sua specie erano in grado di cogliere anche il più piccolo bagliore di luce, ma se ce n'era gia poca in superficie, era impossibile che questa riuscisse a raggiungere il letto di quei crepacci dimenticati.
Una tenue luminescenza si accese sulle cinque punte della sua cresta ossea.
Ora poteva distinguere tutto quello che giaceva a pochi passi attorno a lei. Il fondale aveva profili scomposti, i margini erano sfocati. Il colpo subìto era stato più forte del previsto.
Fece per ritornare verso l'alto, ma una indistinta sagoma accanto a lei la bloccò di colpo.
Aveva già visto costruzioni simili nei villaggi del suo Tharius. Sfiorò la parete con il muso. Pietra. Le case degli arcipelaghi erano di legno, al massimo d'argilla.
Iniziò a vagare tra le vie di quella che una volta era una delle città della stirpe antica, così almeno erano conosciuti gli abitanti che popolavano il pianeta prima della grande ondata.
Le abitazioni erano mute ed immobili, coperte da uno spesso strato di corallo e corpuscoli, uniche forme di vita in grado di resistere a quella devastante profondità. La pressione era tale da far implodere un uomo con facilità in pochi attimi.
Continuò la sua passeggiata tra le deserte strade della metropoli sommersa. Diede spinta con le pinne caudali, sottili pannicoli orizzontali che procedevano attigui al corpo da circa la metà della sua lunghezza, per poi allargarsi sensibilmente verso il margine della coda, ricongiungendosi infine appena sopra il candido cespuglio di setole.
Vagò tra gli spettrali meandri che costituivano l'intricato dedalo delle vie cittadine; le uniche luci ad illuminare il silenzio senza forma erano quelle sulla sua cresta.
Tutta la città sembrava essere stata edificata attorno ad un unico palazzo che svettava solitario al centro di una minuscola piazzetta. La dragonessa vi si diresse, superò l'ingresso senza fatica e proseguì all'interno. Si sentiva stranamente attratta da quegli spazi muti, privi di ogni vibrazione vitale.
Meredyl sorpassò una gran quantità di strani macchinari costruiti con un materiale opaco molto resistente. Ricordava il componente delle spade dei cavalieri. Metallo.
Dinanzi a lei, vide aprirsi nel pavimento una sconfinata voragine senza fondo.
Voleva tornare indietro, riemergere in superficie, accertarsi che Tharius stesse bene e che la battaglia fosse terminata. Ma sembrava che il suo corpo non rispondesse più alla sua volontà. Doveva entrare in quel precipizio, vedere cosa la richiamava a sé con tanta veemenza.
Scese lentamente, superando una innumerabile quantità di parapetti circolari d'acciaio.  
Finalmente raggiunse l'ultimo piano. Su una delle colonne che la circondava era evidenziata una scritta eseguita con simboli sconosciuti. "-151°".
Entrò in una ampia stanza, mentre violenti fremiti le scuotevano il corpo.
Osservò tutt'intorno.
Davanti, dietro, a destra ed a sinistra, in ogni direzione si voltasse, scorgeva solo fragili gusci di madreperla divelti e lacerati.
Sapeva cosa contenevano quelle sfere prima di essere spezzate. Le aveva viste molte volte, prima di allora.
Erano uova di drago marino.
Cosa ci facevano in una città della stirpe antica? I draghi erano sempre stati compagni degli uomini delle isole, ma non avevano mai avuto contatti con il mondo prima della grande ondata. Perché ora si trovava ad osservare quel muto cimitero di uova abbandonate?
I pensieri si ottenebrarono. La mente divenne un unico eco di cori sconosciuti. Una voce grave le rimbombò in testa.
L'uomo non può servirsi degli dei. Quello che ha tentato di emulare ha provocato la sua fine. Le porte del cielo sono chiuse. E così rimarranno, fino alla fine dei giorni.
Per la prima volta la dragonessa si sentì spaventata.
Scappò dalla stanza, senza badare all'ingresso che scendeva ancor più in profondità dalla parte opposta della camera.
Ripercorse la lunga voragine stratificata di piani, uno dopo l'altro, finché sulla colonna non apparve la scritta "piano terra".
Uscì dall'edificio di gran fretta. Sbatteva la pinna più forte che poteva, voleva allontanarsi da quell'arcano delirio senza senso.
Tharius. Doveva tornare da lui.
Oramai aveva quasi raggiunto la superficie, quando un'ombra sopra di lei attirò la sua attenzione. L'ombra chiamava Meredyl, chiamava il suo drago. D'improvviso l'ombra tacque. Aveva perso i sensi.

...



uriel karlum

Et voilà, ecco qua un altro po' di righe...

III

Tharius aprì gli occhi al cielo. Aveva cominciato a piovere. Erano gocce sottili, quasi prive di consistenza.
Vide il mare scorrere sotto di sé.
Era disteso prono, su quella che riconobbe essere la sua sella. Le scure placche ossee sotto di lui gli parvero famliari.
«meredyl... sei tu?»
certo che sono io... chi altro avrebbe potuto salvarti, ridotto com'eri?
Il tono della dragonessa aveva una sinistra nota di ansia.
Poco avanti a loro, il resto dei cavalieri fendeva le onde in basto alla propria creatura. Avevano avuto poche perdite, merito della sorpresa.
Stavano trainando i relitti delle navi abbattute. In quegli anni di povertà, il legno era il bene maggiormente necessario. Le terre emerse erano pochissime, non andava sprecata nemmeno un'oncia del prezioso materiale.
Tharius si rigirò sulla sella. Una scura figura persa tra le coltri temporalesche attirò la sua attenzione. Lanciò lo sguardo lontano, tra le nubi cariche di pioggia. Una creatura. Ali. Grandi ali spiegate al vento. Un corpo possente, una coda a lancia. Volava in direzione opposta alla loro.
Qualcosa ti turba, cavaliere? Indagò la dragonessa, percependo un fremito d'inquietudine nel ragazzo.
«no... niente.»
Ma non si può mentire ad un drago. Egli conosce gli angoli più reconditi dell'animo.
Navigarono dolcemente sull'acqua per un altro paio d'ore, sempre sotto la tenue carezza della pioggia. Meredyl avvertiva il desiderio del giovane di tornare all'isola il più presto possibile. Voleva poggiare i piedi su terra solida, anche se i momenti che preferiva di più erano proprio quelli passati insieme alla sua creatura. Ma sulla terraferma lo attendeva tutta la famiglia, il padre, la madre, le due sorelline. Mancava da quasi un giorno, e già il suo cuore era stretto dalla morsa della malinconia.
Erano quasi giunti in vista delle Zareio.
All'improvviso, la profonda voce del comandante Neteru riscosse il manto di tranquillità che si era adagiato sulle truppe.
«Fumo! Il villaggio è stato attaccato!» gridò, «tagliate le cime dei relitti, facciamo presto!»
I soldati spronarono le loro cavalcature, di colpo violenti sbuffi di spuma vorticarono dietro le code dei dragoni.
«più in fretta, Meredyl! Nuota più veloce che puoi!»
Forse dimentichi con chi stai parlando... replicò pungente la dragonessa.
Con pochi battiti della sua possente pinna caudale, superò il resto dei cavalieri lanciati nella corsa. In quanto a rapidità non aveva rivali, nemmeno tra i draghi degli altri arcipelaghi.
Meredyl si spinse fin sulla secca della spiaggia.
L'isola di Tyomoe, nell'arcipelago Zareio. La sua casa. La casa di Tharius.
Fa attenzione, giovanotto. Le mie fauci non saranno con te nel luogo dove stai andando.
Il ragazzo non vi badò. Scese dalla sella con in balzo, superò la sabbia resa pastosa dalla pioggia e si lanciò nella fitta foresta di palme, su per la pendice del monte, verso il villaggio.
Quando superò l'ultima linea di tronchi, entrò nella piccola radura che accoglieva il minuscolo agglomerato di baracche.
Si trovò dinanzi una informe massa di casolari diroccati, qua è là sbuffavano alcune volute di fumo. Le fiamme che le producevano sembravano innaturali, bruciavano nonostante il temporale.
I corpi dei paesani giacevano inermi tra le macerie. Privi di vita.
L'orrido sospetto fece vibrare le corde del suo animo. Corse in direzione di una casa ai margini superiori del villaggio, l'abitazione del maniscalco. Casa sua. La sua famiglia.
Li trovò distesi al suolo, sotto un cumulo d'assi scomposte che una volta erano la sua dimora, martoriati dalle ustioni e dalle ferite.
Restò per infiniti attimi ad osservare lo spettacolo, sotto una pioggia che oramai si era fatta pesante più dei macigni.
Uno scricchiolio lo riscosse. Vide un uomo dai capelli cinerei tentare di muoversi sfidando la morsa della morte.
«padre mio...» esclamò sommesso il ragazzo, raggiungendolo tra le macerie della casa.
«figliolo...»
L'uomo era visibilmente senza forze, la voce spezzata dalle lacrime e dal dolore. Minuscoli rivoli di sangue gli uscivano ai lati della bocca.
«padre... non piangete, non parlate. Risparmiate le forze.»
«no, mio buon Tharius. Oramai è tardi, sto abbandonando questa tomba d'acqua...» lo interruppe  tra i singhiozzi, «ho sempre cercato di insegnarti la rettitudine, la temperanza, l'onestà. Ma il nostro è un mondo in rovina, un mondo che marcisce ogni giorno di più...»
«non dovete dire questo, padre» proruppe il ragazzo.
«si... l'unica cosa di cui mi accuso è il non avervi protetto a sufficienza. Dimmi figlio, sono io stato un buon padre...?»
«si... lo siete stato...»
ma quando Tharius terminò la frase, l'uomo aveva già serrato le palpebre.
Nel frattempo sopraggiunse anche il resto delle truppe, trovando il villaggio in cui erano nati e cresciuti spazzato via dal fuoco e dalla distruzione.
Alcuni compagni d'arme videro Tharius seppellire nel fango uno dopo l'altro ogni membro della sua famiglia, la madre, le due sorelline, il padre.
Non una lacrima, non un gemito.
Oramai la sensibilità dell'animo aveva abbandonato quelle poche terre emerse. Il cuore non era più un fragile fiore di cristallo, era una fornace che ingurgitava i disagi, le sconfitte, le sofferenze, e le lasciava bruciare a fuoco lento, senza permettere ai sentimenti di prendere forma al di fuori del proprio spirito. Tharius somatizzava ogni cosa, ogni singolo giorno che passava in quella desolazione di isole e di mari senza orizzonte.
Uno dei due soldati si fece avanti.
«Tharius, il comandante Neteru ci aspetta alla caserma sulla spiaggia.»
«arrivo immediatamente» rispose arido il ragazzo.

Quando il giovane raggiunse una paio di edifici costruiti a metà tra mare e terraferma, il comandante era già in piedi sopra le scalinate di uno degli ingressi.
«Isla Tyomoe non esiste più. Hanno attaccato il villaggio quando era sguarnito, senza difese. Entro due giorni una squadra ci raggiungerà e sradicherà gli alberi. Noi ci trasferiremo ad Isla Curaia, e da li riprenderemo le incursioni. Siete liberi di prendere qualsiasi decisione...»
Tharius lasciò passare quelle parole come vento tra le rocce. Che decisione avrebbero mai potuto prendere? Si voltò ed iniziò a camminare su un lungo pontile che si inoltrava in lontananza verso l'oceano. La sterminata passerella portava ad una costruzione tozza, la scuderia dei draghi.
Entrò, la stanza era vuota. Ai due lati di un esteso corridoio si aprivano dei fori circolari che sfioravano il pelo dell'acqua; da li i draghi facevano capolino per agguantare il cibo, o semplicemente per parlare con i propri cavalieri.
Meredyl lo attendeva in fondo, il suo muso oblungo spuntava da una apertura in fondo alla camera.
Che cosa è successo?
Tharius raccontò a grandi linee ciò che era accaduto.
Mi dispiace per la tua famiglia...
«non preoccuparti... sono sicuro che dove si trovano ora, stanno molto meglio...»
non dire così... allora seguirai l'esercito ad Isla Curaia?
«ho forse alternative?» rispose acido il giovane.
Veramente si...
Tharius fissò le celestiali iridi della dragonessa, sbigottito.
Aiutami a scoprire cosa ha provocato la grande ondata.
«e perché mai dovrei farlo?»
perché ho trovato uova di drago marino in una città della stirpe antica.
«impossibile. Lo sanno tutti che la stirpe antica non conosceva i draghi. Siete stati proprio voi ad affermarlo.»
proprio per questo ti chiedo di aiutarmi. Devo fare chiarezza. O preferisci forse seguire Neteru in una guerra senza fine?
Il ragazzo ci pensò per qualche istante. Meredyl era ormai l'unica che gli restava. Quella creatura gli aveva salvato la vita molte volte, ed indubbiamente era la sua migliore amica.
«E sia. Ma le Zareio non possiedono biblioteche tanto fornite da possedere tomi antecedenti alla grande ondata. So di un luogo ad Isla Famria, nell'arcipelago Ushkas.»
Le Ushkas? Ma sono alleate con le Reth'ersen...
«hai forse paura, signora dei mari?» replicò in tono ironico il giovane, «potrei andarci con un vascello commerciale. Il denaro non ha fazione in guerra. Tu potresti seguirmi dal basso.»
Allora partiremo per Isla Famria. Grazie di cuore, Tharius...

...

ah, un'altra cosa... se volete posso buttare giù una mezza mappa, cinque minuti e via. che ne dite?



uriel karlum

UoooUoooUooo amici sportivi di Sky Sport2... scusate, mi sono appena sparato raw integrale, si sente? ad ogni modo, dopo sette giorni di assenza, proseguiamo...

Arcipelago Ushkas, dodici leghe nautiche a sud di Isla Famria.

Il giovane Tharius restava immobile a prua del vascello, noncurante del nauseante dondolio della nave. Gli altri passeggeri, non abituati come lui alla danza delle onde, se ne stavano rintanati nella stiva, oppure perennemente esposti oltre il parapetto.
Il ragazzo percepiva la rincuorante presenza di Meredyl sotto lo scafo, la sinuosa sagoma della dragonessa era rimasta nascosta sin dalla loro partenza da Isla Curaia.
Neteru non si era particolarmente scomposto alla notizia del congedo di Tharius, anzi.
"se hai trovato una ragione di vivere che non sia la guerra, buon per te" gli disse, stringendogli la mano.
Ad un tratto la possente voce del mozzo sulla coffa riscosse il ragazzo dai suoi pensieri.
«Terra! Isla Famria in vista!»
Tharius Pensava che quell'isola non doveva in fondo essere tanto diversa dagli atolli del suo arcipelago, anche se non aveva visto mai altre isole al di fuori delle Zareio.
Presto si dovette ricredere.
Già a qualche lega nautica di distanza, poteva notare costruzioni accatastate lungo il pendio di una montagna scoscesa. Le case erano tutte in muratura, ammassate le une sulle altre, completamente diverse dalle basse case dai tetti di paglia del suo arcipelago.
Quando mise piede sulla banchina del porto, si accorse di quanto Isla Famria fosse piena di vita, gente che passeggiava, colloquiava, commerciava, rideva. Pensò di essere atterrato su un altro pianeta, la guerra pareva non aver nemmeno sfiorato quella città.
Io ti aspetto qui esclamò Meredyl, con un tono che poteva assomigliare allo stupore.
«va bene» rispose il giovane, ancora ammaliato dagli edifici che si arrampicavano fitti lungo le pendici della montagna, «non dovrei metterci molto. Almeno spero...»
Tharius si inoltrò tra la folla del porto. Doveva camminare a rilento, vista la gran quantità di gente. Si fermò a chiedere indicazioni ad un affollatissimo mercato, così venne a conoscenza che la biblioteca cittadina non era molto distante da dove si trovava. Passeggiò per circa una mezz'ora, finché si trovò davanti ad una immensa scalinata di marmo bianco. L'ingresso dell'edificio era preceduto da un imponente colonnato, i battenti del portale di robusto legno di faggio.
Il giovane venne fatto accogliere in una anticamera riccamente adornata di coloratissimi arazzi dai fregi dorati, il pavimento marmoreo dalle venature perlate.
Tutta quella opulenza lo mise a disagio.
Finalmente ebbe accesso alle camere interne. La biblioteca era composta di una unico, sterminato salone. Gli smisurati scaffali salivano quasi al soffitto, anch'esso altissimo, circa un paio di dozzine di passi; al suo centro prendeva posto una ampia cupola di cristallo, la quale assicurava una adeguata illuminazione durante le ore diurne.
Negli angusti spazi tra uno scaffale e l'altro erano posizionati alcuni tavoli di lettura, quasi tutti occupati da studiosi e saggi chini su vecchi tomi polverosi.
Fortunatamente aveva lasciato l'armatura e si era vestito con il migliore abito che avesse potuto permettersi, ma anche così non riusciva a tener testa alle lussuose tuniche degli altri frequentatori della biblioteca.
Il ragazzo percepì una presenza alle sue spalle, nel voltarsi si trovò dinanzi un emaciato inserviente addetto ai libri.
«che cosa cercate?» domandò l'uomo con aria di sufficienza, storcendo il naso nel osservare le vesti di Tharius.
«avrei bisogno di alcuni tomi che riguardino la grande ondata, sia antecedenti che seguenti all'evento.»
«per antecedenti intende libri scritti dalla stirpe antica?» rispose in tono seccato, «Mi dispiace, ma  quelli sono già stati prenotati.»
«va bene lo stesso, portatemi tutti i libri che descrivono la grande ondata.»
«molto bene...»
l'uomo sparì nel labirinto degli scaffali, così Tharius si avvide di prendere posto in uno dei pochi tavoli lasciati vuoti.
Passarono parecchi minuti, tanto che il ragazzo pensò di essere stato dimenticato. Quando finalmente l'addetto tornò presso il giovane, poggiò sulla scrivania una gran colonna di tomi
usurati dal tempo.
«si chiude tra sei ore» esclamò l'inserviente con la solita aria infastidita.
Tharius si disse di non farvi caso, mettendosi a capofitto tra le pagine ingiallite dall'usura.  
Scorse velocemente più righe che poteva, ma continuava a non trovare informazioni dettagliate riguardo la causa della grande ondata, né riguardo alla stirpe antica.
La biblioteca iniziò a svuotarsi, l'orario di chiusura stava per arrivare ed il pomeriggio sembrava essere quasi volato.
Undici dei dodici libri procurati dall'inserviente erano già stati esaminati. Mancava l'ultimo, dal titolo tutt'altro che promettente "la ripresa dopo la sciagura".
Per la maggior parte descriveva i metodi e le strategie adottate dalle comunità subito dopo il cataclisma, senza però spiegare nulla al riguardo. Durante tutta la serie di tomi analizzati, si parlava della grande ondata solamente come una "immensa muraglia d'acqua che in poche ore aveva avvolto il pianeta", anche se questo Tharius già lo sapeva.
Giunto all'ultima pagina del libro, sentì smuovere la sedia davanti al suo tavolo. Il ragazzo alzò lo sguardo.
Davanti a lui una avvenente ragazza sui vent'anni, lunghi capelli corvini, profondi occhi di smeraldo, carnose labbra di velluto. Gli occhiali tondeggianti che le adornavano il viso le regalavano un'aria ancor più conturbante.
«"la ripresa dopo la sciagura"... titolo interessante» esordì la ragazza con voce suadente; «ricercatore?» proseguì.
«curioso» replicò il giovane.
«cerchi notizie sulla grande ondata? Tutti i libri sul tuo tavolo sono di quel periodo...»
«hai buon occhio. Anche se in realtà tento di saperne di più sulla stirpe antica.»
la giovane gli lanciò un sorriso ammaliante;
«hai provato a guardare la bibliografia?» esclamò.
Tharius si stupì di quella domanda. Iniziò a scorrere il tomo sotto di sé, ma non trovò alcuna traccia di altri titoli.
Cambiò libro, ma anche qui nessuna bibliografia.
All'improvviso si sentì avvolgere da calde braccia dietro di lui. La ragazza non gli era più seduta davanti, lo aveva raggiunto alle spalle senza farsi notare. Tharius si sentì avvampare.
«sono state tutte tolte...» gli soffiò all'orecchio, «perché tra le liste di titoli ce ne sono alcuni che sono stati scritti di pugno dalla stirpe antica. Qualcuno però ha cancellato ogni prova della loro esistenza...»
l'abbraccio si sciolse, e Tharius restò qualche minuto con il cuore che esplodeva nel petto.
«ma tu come fai a...»
quando il ragazzo si volse, della misteriosa giovane non c'era più traccia. C'era invece lo smunto inserviente, che con la solita espressione stressata lo invitava ad uscire.

Oltre l'ingresso, il gelido respiro della sera gli schiaffeggiò il volto. Le strade erano semideserte, solamente la luce di qualche bettola illuminava le vie. Nel terso manto del cielo le stelle brillavano di un candido pallore.
Entrò in una locanda per ordinare un piatto caldo, prima di tornare a raccontare della fallimentare ricerca a Meredyl. Fece per mettere mano alla minuscola saccoccia che teneva alla cintola, quando al suo posto sentì il vuoto.
«i miei soldi!»
Si rese conto che alla biblioteca, mentre era ingenuamente concentrato nel sentire il prosperoso seno della ragazza tra capo e collo, questa nel frattempo gli sfilava il denaro in tutta tranquillità.
«dannata...!»
uscì di fretta dalla locanda senza nemmeno poter ordinare, e si lanciò furioso verso le strette vie che davano sul porto.
«che razza di idiota sono stato... e le bibliografie, e i sorriseti, e gli abbracci... maledetta...!»
era così preso dalla rabbia, che andò accidentalmente a sbattere contro una sottile figura avvolta in uno scuro mantello.
«e state attento, maledizione» esclamò la figura con voce graffiante, ma suadente allo stesso tempo.
Il ragazzo continuò per qualche passo, poi si rese conto.
«ehi, tu!»
non fece in tempo a finire la frase, che il lungo mantello nero iniziò a darsi alla fuga per le intricate strade del centro.
La ragazza era indubbiamente agile, spariva con facilità tra gli oscuri meandri delle vie cittadine.
Tharius non si dava per vinto, la rincorreva a perdifiato, senza cedere all'estenuante ritmo imposto dalla giovane.
Intuì che si stavano dirigendo alla città alta, verso la cima del monte. Li le case non erano più strangolate in poco spazio, erano attorniate da forbiti giardini, da fontane, da spesse cancellate in ferro battuto.
La ragazza sembrava non risentire minimamente della fatica.
Che diamine! Sono o non sono un soldato dell'esercito delle Zareio?
Tra le ampie cavalcate, Tharius trovò il giusto attimo per afferrare un ciottolo dal margine della strada. Ripassò velocemente le lezioni con la fionda, e lanciò la pietra con mira perfetta.
Il sasso colpì la caviglia sinistra della giovane; questa perse improvvisamente l'equilibrio e stramazzò al suolo con un gemito. In pochi attimi il ragazzo la raggiunse e la bloccò al tappeto.
«ci sai fare con le mani...» ansimò Tharius, visibilmente affaticato.
«potrei anche offendermi per quello che hai detto» esclamò la giovane, tentando di divincolarsi, «e poi non si tirano i sassi alle ragazze. Mamma non te l'ha insegnato?»
il cavaliere fissò con occhi vuoti il penetrante sguardo di smeraldo della ragazza.
«mia madre non c'è più» rispose arido, «comunque sia sai bene a cosa mi riferisco. Rendimi il denaro. In fretta anche.»
«come sei impaziente... non ti andrebbe prima di conoscere il mio nome?» sorrise maliziosa la giovane.
«direi che francamente della cosa non mi importi granché.»
Subito dopo il ragazzo iniziò a perquisire con violenza le tasche della sconosciuta, convinto di ritrovare i risparmi che si era guadagnato in anni di servizio nell'esercito.
«ehi! Tieni a posto quelle manacce, screanzato!» gridò la giovane.
Di tutta risposta, Tharius le rifilò un sonoro sberlone.  
«dove sono i miei soldi? Dimmi, dove li tieni?» il ragazzo alzò i toni, furioso.
«io... li ho già impegnati!» strillò la giovane ladra, quasi sull'orlo delle lacrime.
Tharius allentò la presa. Liberò la stretta sui polsi della ragazza, lasciandola distesa sul freddo ciottolato della strada. Imboccò la via per il porto, imprecando tra i denti. Meredyl avrebbe etichettato quella giornata come un fiasco totale.
«io... sono Dhelia...» soffiò la giovane con un filo di voce. Ma il cavaliere era oramai già lontano.
 
...



uriel karlum

e cinque. come vultus cinque. quel mecha si che faceva il bordello...

V

La risata della dragonessa gli rimbalzò nella testa per alcuni minuti.
Cioè... fammi capire bene... non solo non hai trovato notizie sulla stirpe antica, ma ti sei anche fatto fregare tutti i soldi!?
«serve che continui a ripetermelo?» sbottò il ragazzo. Era sicuro, d'ora in avanti Meredyl l'avrebbe deriso ad ogni occasione, era sempre stato così quando combinava qualche bambinata.
«domani tornerò in città... se ho fortuna guadagnerò qualche soldo, e magari raccoglierò un po' di informazioni sui libri scomparsi... ehi! Ma dove stai andando?»
la dragonessa gli aveva già voltato le spalle quando il ragazzo non aveva ancora terminato di parlare.
Vado a cercarmi un altro cavaliere...
A Tharius non rimase che accovacciarsi sugli scogli, passarsi le mani tra i capelli color della notte. Si, Meredyl sarebbe tornata, ma si era proprio lasciato abbindolare come un pivellino, non la rimproverava se voleva starsene un po' da sola.
Sarebbe andato comunque in città l'indomani. Se fosse riuscito a recuperare almeno una parte del denaro, e magari anche qualche notizia sulla stirpe antica, sicuramente Meredyl non avrebbe infierito più di tanto sui suoi fallimenti da infante.
Il sonno lo colse con un dolce abbraccio, fino a quando i primi raggi del sole incendiarono le nuvole, illuminando la piccola insenatura nascosta fra gli scogli.
Dopo circa un'ora di cammino, Tharius fece nuovamente il suo ingresso nella città di Isla Famria.
Le case arroccate lungo tutta la pendice della montagna incombevano sul ragazzo, eppure presentavano qualcosa di strano quella mattina. Era giorno di mercato, sia nella città alta che nei quartieri dei bassifondi.
La confusione regnava sovrana, scambi di merci, accordi, mezze liti, rilanci di prezzo, strette di mano.
Tharius non aveva mai assaporato in modo tanto brusco l'odore della vitalità; tutto così in una volta lo lasciò quasi intontito.
Qualcosa attirò la sua attenzione. Ogni tanto c'erano dei palchetti allestiti lungo la strada. Alcuni uomini ne presentavano altri seminudi, legati, imbavagliati, li descrivevano come laboriosi factotum.
In quel momento stavano presentando uno pettoruto giovane dalla carnagione olivastra.
«che stanno facendo?» chiese il ragazzo incuriosito ad un signore davanti a lui, totalmente assorbito dall'evoluzione delle trattative.
«scambio di servitori» rispose l'altro senza nemmeno voltarsi.
«cosa intendete?»
L'uomo sbuffò seccato, «ogni tanto, i ricconi della città alta vengono quaggiù per acquistare qualche nuovo maggiordomi o cameriere. Alcuni si mettono volontariamente in vendita, così riescono ad ottenere un lavoro. Si fanno buoni affari.»
«una sorta di schiavitù, insomma...»
«io non la considererei sotto questo aspetto. Ora vedi di andartene però...»
Si ripromise di non badare più di troppo all'acidità di quelle persone, aveva ben altro per la testa. Per cominciare sarebbe andato da un carpentiere, o da un maniscalco. Se costoro avevano bisogno di un garzone, lo avrebbero sicuramente assunto.
Quando però iniziò a guardarsi intorno, non riusciva a scorgere altro che un brulicante formicaio di gente. Bastarono pochi attimi per capire di essersi perso in mezzo a quella confusione.
Girovagava senza meta tra le grida e le spinte della folla concitata dal mercato.
Finalmente riuscì ad entrare in un incustodito vicolo strangolato dalle alte pareti delle abitazioni, giusto per riprendere un momento di fiato.
Aveva appena chiuso gli occhi per riposarsi un secondo, quando alle spalle sentì il margine inferiore della sua casacca venire spostato, una veloce mano correre alla cintola.
Con un repentino scatto del braccio, Tharius afferrò la mano sconosciuta, voltandosi per vedere in faccia il suo rapinatore.
Poco più bassa di lui, iridi di smeraldo, lunghi capelli di tenebra.
«santo cielo no... ancora tu...» sbottò il ragazzo.
«peccato!» rispose Dhelia con un sorriso enorme, facendo risaltare la sua perfetta dentatura perlacea, «speravo avessi qualche altro scudo da sgraffignare...»
«certo...» replicò lapidario il giovane, «ora sono diventato la tua vittima di fiducia... gira al largo, ragazzina.»
«no, senti...» la ragazza mutò radicalmente espressione, gli lanciò un malizioso sorrisetto appena accennato, scosse la testa con aria compunta;
«volevo dirti che mi dispiace...»
«oh per gli dei...» esclamò Tharius dandosi una pacca sulla fronte, «anche la tagliaborse con i rimorsi di coscienza mi doveva capitare...»
«dico sul serio! Non volevo offenderti, non sapevo che tua madre...» la giovane lasciò che il discorso si concludesse da sé.
«solo lei? Oh no, anche tutti gli altri... ma non fa niente. Sono sicuro che loro stanno meglio di me. In un certo senso, li invidio. Almeno hanno lasciato questo mondo in putrefazione...»
«no! Non dire così!» strillò la ragazza ad occhi spalancati, «prima di lasciarmi, mia madre mi fece promettere di non gettare via la mia vita, perché è un dono troppo importante. Se veramente la pensi come dici, sei solo uno stupido!»
Tharius fissò di sbieco quella piccola fornace di energia dai capelli neri.
«ricordati che a questo stupido devi quattrocentosettantadue scudi» le rispose asciutto, scavalcandola per andare di nuovo a gettarsi verso la folla.
Non riuscì a fare un passo che la ragazza gli fu subito davanti.
«il mio nome è Dhelia» disse la giovane con il suo luminoso sorriso, porgendogli il palmo per fare conoscenza.
«molto bene. Dhelia. Mi devi quattrocentosettantadue scudi» replicò il ragazzo, tentando di nuovo di oltrepassarla. Ancora una volta, la giovane gli fu subito di fronte.
«quando qualcuno ti dice il suo nome e ti offre la mano, dovresti ricambiare...»
Tharius attese qualche istante, per poi esordire con un sonoro sbuffo.
«Tharius. Mi chiamo Tharius. I quattrocentosettantadue scudi però, sono sempre gli stessi.»
Finalmente riuscì a superarla, quando poco prima di ripiombare nella confusione del mercato, la ragazza non si trattenne dal gridargli dietro.
«E non fare tanto il prezioso! Sappi che conosco ricchi e facoltosi signori che avrebbero pagato solo per toccarmi i fianchi come hai fatto tu l'altra sera!»
Tharius si bloccò nel mezzo del vicolo. Si voltò ed iniziò a squadrare la flessuosa ragazza da capo a piedi, con occhio clinico. Sul viso del giovane comparve un sinistro ghigno malefico.

«razza di...»
Dhelia si sentì soffocare in gola l'improperio. Una soffice fascia di stoffa le fu legata attorno alla bocca, mentre del robusto cordame le cinse i polsi appena dietro il dorso.
«questa qui è roba buona...» sbraitò un vecchio bavoso, «carne fresca. Dovremmo guadagnarci mille scudi, e poi facciamo a metà. Ci stai, giovanotto?»
Tharius non se lo fece certo ripetere.
«ottimo. È tutta vostra. Quando avrà inizio l'asta?»
«oh non vorremmo certo fare aspettare questa dolcezza...» ripeté l'uomo, cercando di carezzare le tenere gote rosate della ragazza, che nel frattempo cercava in tutti i modi di divincolarsi, «direi subito dopo le ippoaquile dell'arcipelago Furimo.»
«molto bene. Aspetterò dove c'è meno confusione. A dopo.»
il ragazzo si lasciò alle spalle la strada affollata, trovando ristoro in un piccolo giardinetto pubblico alle propaggini della città alta. L'aria era meno pesante, il caos del mercato piuttosto lontano.
L'acqua della fontanella scrosciava tranquilla; seduto in pace su quella panchina, Tharius si sentiva sereno.
Sentì il solletico allo stomaco, non mangiava da quasi un giorno intero. Poi ripensò a Dhelia, probabilmente la ragazza più affascinante che avesse mai conosciuto. Quel fascino però gli era costato caro, ma era sicuro che vendendola a qualche signorotto come donna di servizio gli avrebbe fruttato un bel po' di quattrini. Certo, l'aveva ingannata promettendole di portarla a mangiare qualcosa di caldo, per poi invece presentarla all'anziano banditore d'asta. In fondo, l'aveva fatto anche lei la sera prima. Una immagine gli passò nella mente come un fulmine.
Se la immaginò in casa di qualche nobiluomo, i neri capelli raccolti dietro la nuca, con indosso la consueta uniforme da cameriera, pronta a pulire qualche esotico soprammobile impolverato.
Il ragazzo non si trattenne dal ridere sommessamente.
Figuriamoci... pensò, non durerà più di un giorno. Poche ore, e sarà già fuori a sgraffignare il portafoglio di qualche sprovveduto che non resisterà alla sua scollatura. Per quanto mi riguarda, avrò intascato un bel gruzzolo per allora, e me ne sarò già partito sul dorso di Meredyl...
Improvvisamente i suoi pensieri si diradarono, spazzati da un invisibile vento impetuoso. Si accorse che su una panchina al di là del minuscolo parco stava seduto un uomo piuttosto alto, completamente avvolto in un immenso mantello nero.
Quando realizzò di essere stato notato, il figuro si drizzò in piedi, andando ad imboccare la via che portava alla città bassa.
L'uomo incrociò l'opalino sguardo di Tharius, mostrando iridi plumbee come le nubi delle tempeste in mare aperto. Quello sguardo penetrante irrigidì il ragazzo, attanagliandolo in una incomprensibile morsa di timore. La fontana, il giardino, la città tutta smisero di esistere. Persino lo scorrere del tempo sembrò annullarsi.
Si fissarono, occhi negli occhi, per un attimo che parve non avere fine.
Quando infine la sagoma scura dell'individuo venne divorata nello sconfinato labirinto di strade, Tharius sentì un macigno levarsi dal suo petto. Restò senza parole, quasi intontito. Nel momento in cui la strana aura di inquietudine lasciò definitivamente la presa, al ragazzo sembrò che fossero passate ore.    
In realtà, così era stato.
La sera era calata già da un pezzo, le locande avevano acceso le lanterne all'ingresso, gli addetti alle banche del mercato stavano ultimando i preparativi per tornarsene tra le calde mura domestiche.
Tharius si lanciò a capofitto giù per la strada. Fortunatamente, il banditore d'asta stava ancora smontando il palco assieme ad altri tre uomini nerboruti.
«era ora! Stavo per portarmi a casa l'intero ricavato!» esordì l'anziano con voce stridula.
«scusatemi...» rispose il ragazzo, dandosi spazio tra gli ampi respiri, «credo di essermi appisolato. Allora, come è andata?»
Il vecchio esplose in una grassa risata, mettendo in mostra solo un paio di incisivi ingialliti.
«benone, ragazzo mio, benone! Il bocconcino ha fruttato milletrecento scudi, vedessi che lotta per aggiudicarsela! Per gli dei, erano anni che non assistevo ad un'asta tanto infiammata...»
Tharius sospirò, soddisfatto.
«ecco qui» riprese l'anziano, «seicentocinquanta. È stato un piacere fare affari con te, giovanotto.»
Il ragazzo sorrise, prese ed intascò. Metà dei suoi propositi per la giornata erano andati a gonfie vele. Era tempo di tornare all'insenatura, vedere se la dragonessa era ritornata.

...



uriel karlum

:ninja: ma quanto ganza è sta faccetta?!?!?

VI

Erano oramai tre giorni che Tharius faceva spola tra l'insenatura e la città, ma di notizie riguardo i libri scomparsi nemmeno l'ombra. D'altrocanto, nelle bettole la voce si era diffusa in fretta, già tutti parlavano di quello strano ragazzo accampato giù alla spiaggia, un ficcanaso che tentava di spulciare a chiunque informazioni sulla stirpe antica. L'argomento però era sconosciuto a molti, ignorato da altri, e zittito da alcuni.
E' pericoloso continuare a restare, esordì Meredyl sul far della sera, se scoprono che sei un cavaliere dell'esercito nemico, potrebbero prendersela a male...
«e va bene, amica mia» ribatté Tharius, abbandonandosi allo sconforto, «domani mattina partiremo per qualche altra isola. Magari per le Kharal, ci sono alcune biblioteche anche là...»
lo so che fai tutto questo per me... proruppe la dragonessa, ma non voglio che la cosa ti metta in pericolo. Se capirò che stiamo azzardando troppo oltre, interromperò le ricerche io stessa.
«Meredyl...» sbuffò il giovane, «quante volte ti ho detto di non trattarmi come un bambino? So badare a me stesso...»
meglio tralasciare l'argomento... capitolò bruscamente la dragonessa, alzando il muso dall'acqua e piantando la sua enorme iride celeste in quella altrettanto azzurra del ragazzo. Perlomeno ora aveva smesso di canzonarlo, dato che era riuscito a recuperare tutto il denaro, guadagnando anche qualche spicciolo in più.
Il sonno precipitò molto presto quella notte.
Quando il sole fece capolino all'orizzonte, infiammò le scure striature che le nuvole avevano dipinto nel cielo violetto.
Tuttavia le potenti verghe di luce non svegliarono il ragazzo, fu una concitata voce femminile a farlo, circa a metà della mattinata.
«Tharius! Tharius!»
il ragazzo roteò il volto nella sabbia. Dal sentiero che conduceva alla città sbucò la sagoma impacciata di una ragazza piuttosto paffutella, un perpetuo tintinnio la accompagnava nella sua goffa corsa.
Quando fu abbastanza vicina da riconoscerla, il ragazzo ebbe un sussulto stupefatto.
«Dhelia... ma cosa hai combinato...?»
Ancora parzialmente intontito dal sonno, infilò una mano nella scollatura della ragazza, senza badare troppo al gesto che stava compiendo.
Tra il petto ed il lussuoso abito c'erano almeno un'altra mezza dozzina di capi di vestiario, tutti molto raffinati e sfarzosi.
Il ceffone che ne derivò gli scosse violentemente la mascella, riportandolo immediatamente alla realtà.
«come ti permetti certe confidenze?» inveì furiosa Dhelia.
«e quante storie! Non ho viso praticamente niente, con tutti quei vestiti!»
«oh, dici questi?» la ragazza si calmò di colpo, «carini, vero? Dovrei ringraziarti... la casa dove sono finita era una vera miniera d'oro!»
Il giovane aggirò con lo sguardo il solito, radioso sorriso della ragazza, notando come dalla sua  spalla pendesse un pesante borsone ricolmo di misteriosi oggetti modellati.
«ho paura di chiederti cosa c'è in quel sacco...» domandò Tharius con una espressione alquanto preoccupata.
«qui dentro dici? Bè, qualche innocente ricordino dorato... e non solo!»
tra il sonoro clangore metallico, la ragazza trasse dal fagotto un sottile fascicolo, rilegato con un materiale che Tharius non seppe riconoscere.
«pensi che mi sia dimenticata di come ci siamo conosciuti? Questa era una delle cose che il nobile custodiva con più cura. Credo parli della grande ondata, o di qualcosa del genere.»
il giovane non fece in tempo a prendere in mano il libro che l'incedere di una folla furiosa in lontananza lo bloccò a mezz'aria.
«oh, si...» riprese Dhalia grattandosi il capo, «per caso ti avevo detto che sono stata scoperta...?»
il ragazzo si conficcò il tomo nelle tasche interne della casacca, lanciandosi di fretta verso gli scogli poco più avanti.
«Meredyl! Facciamo di corsa, ce ne dobbiamo andare!» gridò Tharius rivolgendosi trepidante verso il mare.
«Meredyl?» si chiese Dhalia sottovoce, «e chi sarebbe? l'aria salmastra deve avergli abbrustolito il cervello...»
Nel momento in cui l'imperiosa testa a scaglie della dragonessa sbucò dall'acqua con una esplosione di spuma biancastra, la giovane cadde all'indietro sulla sabbia, stupefatta ed al contempo terrorizzata.
E questa ragazzina cosa ci fa qui? Chiese Meredyl in tono acceso.
«non ci badare. Ho quello che ci serviva. Andiamocene, prima che ti vedano!»
troppo tardi...
Tharius si voltò di scatto.
Oltre il crinale dell'insenatura, una moltitudine di gente armata di bastoni e pietre si era completamente bloccata, assorta nel contemplare la maestosità mortale di quelle scaglie color dell'oceano.
«un drago marino...»
«sono quelli delle Zareio!»
«facciamoli fuori!»
la rabbiosa massa di persone si lanciò giù per il sentiero, gridando e mulinando i randelli nell'aria.
Che si fa con questa qui? Domandò la dragonessa, indicando la ragazza spaurita poco distante da lei.
«se la prendono, la uccideranno. Ce la fai a portare tutti e due?»
Come sempre, dimentichi con chi stai parlando...
Il ragazzo affondò i piedi nella sabbia. Quando raggiunse Dhelia però, questa non voleva saperne di muoversi. Era paralizzata, bloccata a terra, lo sgomento nei suoi occhi di smeraldo, sempre immobili a fissare il profilo della creatura. Tharius non l'aveva mai vista così atterrita.
Nel frattempo le grida iraconde si facevano vicine, sempre più vicine.
«Dhelia! Alzati! Dobbiamo scappare!»
ma dalla bocca semiaperta della ragazza non giunse risposta, solo un soffocato gemito senza senso.
Oramai pochi passi dividevano i ragazzi dalla folla infuriata.
«non mi lasci altra scelta» tuonò il giovane.
le ultime immagini che la ragazza vide furono il muso della dragonessa, il mare dietro lei. Poi, nocche dure come il diamante. Un manto d'oscurità l'avvolse.

Tharius accese un piccolo fuoco per scaldarsi. Il crepuscolo aveva appena divelto le ultime radici, lasciando il posto al tenue chiarore della sera. L'isolotto su cui erano sbarcati era minuscolo, una spiaggia circolare, qualche albero al suo centro; percorrendolo tutto in tondo, nemmeno mezza lega.
Meredyl si sollazzava serenamente, il movimento altalenante delle onde le massaggiava il collo riverso sulla battigia. Dhelia invece giaceva inerme accanto alle fiamme, svenuta. Il perfetto ovale del viso era ancora deturpato dall'espressione di terrore che l'aveva colta alla partenza, nonché da un ampio livido violaceo che si allargava nei dintorni dello zigomo.
Tharius però non badava a nessuna delle due, né alle dimensioni dell'atollo, e nemmeno all'incedere della notte.
Quello che aveva tra le mani non era un semplice libro. Le pagine, come la copertina, non si potevano strappare, bruciare o distruggere. Il materiale con cui il tomo era stato redatto pareva venire da un altro pianeta, non certo da quella massa insignificante di arcipelaghi e acqua.
Stirpe antica... pensò il ragazzo. Non c'erano altre spiegazioni. Provò a scorrere qualche riga. La lingua in cui era stato scritto era piuttosto simile alla sua, in fondo le civiltà delle isole derivavano pur sempre da loro.
Aprì una pagina a caso.

Jonedia, 23-14, 34 d.s.d.

In data odierna siamo stati tenuti a presentare rapporto sul fallimento dello scorso esperimento.
Il generale Daxer ci ha imposto disposizioni più severe per quanto riguarda la diagnostica. Nel prossimo test dovremmo porre maggiore attenzione al reflusso statico, senza contare l'interconnessione sinaptica, sicuramente lo step più arduo. Sono stata informata che i residui organici dell'ultimo tentativo sono già stati tutti eliminati. Peccato, mi stavo già affezionando ad uno di essi. I suoi occhi azzurri erano così dolci...
Questa sera Milean mi ha chiesto di sposarlo. Finalmente si è deciso. Sono così felice... A questo punto non so se continuerò la mia collaborazione al progetto. Forse non è saggio interferire con gli spiriti dell'equilibrio. Ma a Daxer questo non importa. Lui cerca solo la gloria. Almeno credo. Suonano alla porta.


Un rumore velato riscosse Tharius dalla sua lettura. Dhelia si voltò su un fianco. A poco a poco la ragazza riprese conoscenza, soffocando alcuni colpi di tosse. Lo zigomo le doleva enormemente.
«tu... mi hai colpita!?» tuonò la giovane furiosa, puntando i suoi occhi di fuoco in quelli del cavaliere.
«che altro dovevo fare?» si giustificò il ragazzo, «non ti decidevi a schiodarti dalla spiaggia! Preferivi forse una razione di manganellate?»
Dhelia era fuori di sé. Si alzò in piedi di scatto, tenendo il suo sguardo collerico fisso in quello del giovane, allo stesso tempo indietreggiava fino al bagnasciuga, senza smettere per un momento gli improperi all'indirizzo di Tharius.
Qualcosa di infinitamente compatto alle sue spalle la fermò. Con il cuore in gola, si volse lentamente, finendo per specchiarsi in una immensa iride cristallina, azzurra come il cielo.
Qualche problema, bellicapelli?
La voce scontrosa della dragonessa le penetrò la mente con la prepotenza di una valanga.
Dhelia esplose in uno strillo tanto alto da raggiungere le stelle.
Iniziò a correre senza sapere esattamente dove fosse, solo il mare intorno a lei; inciampava nella sabbia, si rialzava, inveiva, ricominciava a correre in preda ad un delirio terrorizzato.
«no! Non entrarmi nella testa, bestia immonda!»
Tharius le fu subito addosso, bloccandola al tappeto.
«calmati! Meredyl non ti farà alcun male, fidati!»
ma oramai era tardi per le parole.
La ragazza smise all'improvviso di sbracciare a casaccio nell'aria. Questa volta fu lo spavento a farla svenire, di nuovo.

...



uriel karlum

Ohilà... scusate il ritardo ma recentemente mi sono capitate un sacco di cose, prima fra tutte ho mezzo distrutto l'auto tirando dritto ad una rotatoria alle 5eMezzo del mattino... :frusty:
comunquesia, continuo il racconto, anche se ormai manca poco al finale

VII

«È successo molto tempo fa.»
Dalla voce di Dhelia traspariva una fremente irrequietezza. Il suo sguardo, sempre così dolce, ora si perdeva vuoto oltre l'invisibile orizzonte che divideva il calmo mare di tenebra dal freddo cielo della notte. La luna, solitario spettro di luce che brillava gelido sopra le loro teste, dipingeva una lunga scia perlacea sul manto quasi immobile delle acque.
La ragazza trasse un profondo respiro.
«la mia era una piccola casa sperduta su un'isola ai confini del mare. Mia madre e mio padre decisero di trasferirsi nell'arcipelago più vicino per sperare in un lavoro ed in una vita migliore, così mi portarono con essi su una nave diretta non ricordo più nemmeno dove.
Era un vascello pieno di derelitti, disperati, gente senza un soldo ma con bauli colmi di speranze.
Venimmo attaccati.
Cercavano truppe nemiche. Trovarono noi.
Erano draghi marini delle Thoredren, scaglie nere come la pece, occhi rossi più del fuoco, anche se il nome del loro arcipelago di provenienza l'ho scoperto solo in seguito.
In sella a quelle terribili belve assetate di sangue stavano altrettanti cavalieri privi di ogni compassione.
Sterminarono tutti.
Riuscii a nascondermi in un rifugio di fortuna tra le botti legate sul ponte.
Vidi uno dei draghi tranciare di netto il corpo di mio padre, e subito dopo azzannare quello di mia madre. Il suo enorme occhio scarlatto mi fissava.
Sapeva che ero nascosta, al contrario del suo cavaliere.
Eppure quel drago non mi uccise.
Fece di peggio.
Ricordo che il suo spirito s'inoltrò nella mia mente impaurita, costringendomi a vedere la sanguinosa fine dei miei genitori dal suo punto di vista.
Sentii l'odio, la rabbia, la gioia di uccidere. Fu terribile. Tutto quel sangue... fu come se fossi stata io stessa a uccidere le persone a me più care.
Quando quella tortura ebbe fine, i draghi se n'erano andati. Uscii sul ponte della nave, anche se ormai era solo un'informe massa di legno ricoperta dai corpi senza vita dei passeggeri.
Mia madre respirava ancora. Fece in tempo a dirmi qualche parola di conforto, ma poi anche lei se ne andò, lasciandomi sola in mezzo al mare.
Fui recuperata da un vascello mercantile. Gettarono in acqua i corpi come se fossero stato inutili scarafaggi fastidiosi, solo per potersi appropriare del relitto della barca.
Li odiai tutti. Ma poi capii che l'odio mi avrebbe consumato. Ripensai alle parole di mia madre, e da allora giurai di vivere, niente di più.
Ho girato di porto in porto senza una meta, fino a che, circa quattro anni fa, sono sbarcata ad Isla Famria. La città era grande, piena di tasche da svuotare. Mi misi il cuore in pace e mi dedicai alla mia carriera di ladra.»
Tharius rimase in silenzio. Tutto ad un tratto quella fragile ragazza dagli occhi tristi gli faceva compassione. Poteva percepire il suo dolore nel raccontare della fine dei genitori, anche se non riusciva a provare la medesima cosa per i familiari che egli stesso aveva perso di recente.
Era sempre convinto che fossero stati più fortunati di lui nell'abbandonare quel mondo in rovina.
Smise per un attimo di pensare al gelido deserto che albergava nel suo cuore, osservando le calde lacrime di cristallo che ora solcavano le delicate gote della giovane accanto a lui.
Non era convinto di poter attenuare l'angoscia della ragazza. In fondo erano stati dei cavalieri di drago proprio come lui a sterminarle la famiglia.
Ciononostante sentiva di dover fare qualcosa.
Dopo un lungo tentennamento, le cinse le spalle con un braccio, balbettando un mezzo abbraccio.
Non aveva ancora posato tutto l'arto, che la ragazza gli si gettò al petto, stringendogli rabbiosamente la veste tra i pugni. Il pianto liberatorio proseguì con foga per alcuni minuti, infine, esausta, Dhelia cedette al richiamo del sonno.
Tharius non si mosse per attimi che gli parvero ore, solamente avvertendo il tenue respiro della giovane appoggiata a lui, il regolare movimento del dorso che si gonfiava e si svuotava come il piccolo mantice della fucina di casa. Alla fine le palpebre si fecero pesanti, sempre più pesanti; chiuse gli occhi e, semplicemente, si addormentò.

Il respiro del mare si fece sempre meno soffocato. A poco a poco il ragazzo potè riconoscere la luce del mattino, la minuscola spiaggia illuminata dalla sfera infuocata che alzava i penetranti raggi tra l'orizzonte ed un fascio di nubi appena sopra di esso.
Sentì come se un peso che lo aveva accompagnato durante tutta la notte fosse completamente sparito. Si svegliò di soprassalto. Dhelia non era più lì, ma riconobbe alcune risate sommesse dall'altro lato dell'isoletta.
Quando si alzò per andare a vedere cosa stesse succedendo, rimase senza parole.
La ragazza era seduta a gambe incrociate sulla battigia, il sorriso più luminoso dell'aurora che in quel momento tingeva il cielo d'oro e d'arancio. Davanti a lei, l'altrettanto solare sguardo della dragonessa.
Tharius fu felice di constatare come la giovane sembrasse aver già oltrepassato la tristezza dei ricordi della sera precedente, anche se ci mise un attimo a capire che Meredyl stava raccontando tutti gli aneddoti che lo vedevano protagonista di vicende poco consone al suo grado, ed a quanto pareva la ragazza sembrava gradire quelle storie. Ogni tanto se ne usciva con qualche "ma davvero?" sarcastico, oppure con un ironico "ma che bravo cavaliere...", miscelando il tutto con sonanti risate a pieni polmoni.
Quando il ragazzo si avventò sul siparietto, interruppe il racconto di quella volta che scambiò, per sbaglio, l'otre dell'armatura per le immersioni con un altro otre pieno di una miscela di aria e gas soporifero, preparati per un'azione di sabotaggio ad un gruppo di cavalieri rivali.
«dannato drago! Vuoi farmi pentire di essermi fidato di te?»
Come sei noioso...fatti una risata! La tua nuova amichetta sembra apprezzare queste belle storielle...
«scusami Tharius...» intervenne la ragazza con aria compunta, «non volevo ridere di te, ma quei racconti erano così divertenti... Meredyl potrebbe fare la cantastorie, è bravissima.»
Non allarghiamoci troppo, ora... esclamò la dragonessa quasi imbarazzata, dimmi piuttosto cosa hai scoperto dal libro dell'antica stirpe.
D'improvviso l'atmosfera si fece gelidamente seria. Solamente il rumore del mare spezzava a tratti la cappa di silenzio. Il giovane aveva letto il fascicolo quasi nella sua interezza, ma non era stato in grado di trarre conclusioni abbastanza precise e convincenti.
«da quello che ho capito si tratta del diario di una ricercatrice. Purtroppo il progetto a cui stava lavorando viene sempre sottinteso, in quanto già dalle prime pagine questa donna faceva già parte del gruppo di scienziati. Si parla di spiriti dell'equilibrio, quattro. Anzi, quattro più uno, per la precisione. L'unica cosa che sono riuscito a capire è che si stavano attuando degli esperimenti su questi spiriti dell'equilibrio, e che la grande ondata è stata probabilmente una tragica conseguenza di ciò.»
Un tremito attraversò le scaglie della dragonessa, cosa che non sfuggì al suo cavaliere.
«qualcosa non va, Meredyl?»
la creatura era visibilmente preoccupata, persino la sottile linea di pensiero con cui parlava nella mente di Tharius sembrava destabilizzarsi ad ogni sillaba.
Ricordi il giorno dell'attacco alle truppe delle Reth'ersen? Quando mi venisti a cercare dopo la battaglia? Ti dissi di aver scoperto uova di drago marino in una città della stirpe antica. Era solo una parte di ciò che mi successe quel giorno. Nella stanza delle uova, ho sentito una voce, una voce che sibilò nei miei pensieri come nemmeno con gli altri draghi mi era mai capitato. Quella voce mi disse che la grande ondata era la giusta punizione per tutti coloro che tentarono di emulare il potere degli dei, ed anche che certe cose chiamate "le porte del cielo" sarebbero rimaste chiuse.
Il ragazzo rimase in silenzio per attimi che parvero ore, lasciando che sulla piccola isoletta calasse un manto di muta inquietudine.
«allora gli esperimenti menzionati nel diario hanno realmente causato la grande ondata... perché non mi hai parlato prima di queste cose?»
non volevo che ti preoccupassi inutilmente... rispose la dragonessa con un tono tanto amorevole da giustificarsi all'istante.
«se vogliamo andare fino in fondo a questa storia, dobbiamo capire in che cosa consistevano gli esperimenti, che cosa sono gli spiriti dell'equilibrio e...»
no, sbottò perentoria Meredyl, ti dissi che se ci fossimo azzardati troppo oltre, avrei interrotto le ricerche io stessa. Abbiamo superato quel confine già da molto tempo ormai, e se ci sono energie in gioco che hanno saputo sommergere un intero pianeta, allora sicuramente non è cosa saggia addentrarsi in conoscenze tanto pericolose, quindi ora tu ascolterai me e ce ne torneremo...
La dragonessa non fece in tempo a terminare.
Un sibilo.
Un boato.
Pochi passi dall'atollo. Una gran colonna d'acqua si alzò poco distante da loro, poi, minuscole goccioline andavano a ricoprire la spiaggia, i corpi dei ragazzi riversi al suolo.
Quando Tharius riprese conoscenza, ogni cosa era avvolta da una ovattata coltre assordante, l'orizzonte era una linea incerta, cielo e mare si abbracciavano in una danza innaturale. Si inginocchiò a terra. Nel momento in cui il giovane sentì di poter mettere a fuoco l'oceano che gli stava dinanzi, alzò lo sguardo.
Ad una ragguardevole distanza dall'isola si potevano distinguere a malapena tre, forse quattro navi prive di alberi e vele, lo scafo parallelo alla spiaggia. Il materiale con cui erano costruite rifletteva alla luce del sole, così come le imponenti tubazioni minacciosamente puntate in direzione del minuscolo litorale.
Mai il ragazzo aveva veduto prima imbarcazioni di quel genere. Tutto a un tratto le bocche dei condotti rimbombarono di accecanti fiammate.
Altri sibili.
Altre esplosioni, anche se maggiormente fuori misura rispetto alla precedente.
Tharius si sentì in balia di forze sconosciute.

Dal ponte della corazzata maestra, il nobile Roduen osservava compiaciuto le fasi dell'attacco, avvolto nella comoda divisa dalle rifiniture dorate propria degli alti ufficiali della marina.
Un gracile mozzo si avvicinò a quell'uomo anziano, ma ancora in possesso di tutto il fisico necessario a far rispettare la sua autoritarietà.
«signore, siamo prossimi all'acquisizione completa del bersaglio.»
«molto bene» tuonò l'uomo con aria soddisfatta, «spazzate via quello stupido atollo e tutti coloro che vi stanno sopra. Non la si fa a Roduen, men che meno si può venire a rubare in casa sua.»
Non gli importava nulla del piccolo libro argentato che teneva custodito nella cassaforte, sapeva già tutto quello che c'era da sapere. L'unica cosa che gli interessava era recuperare l'onore toltogli con il furto subìto, e l'avrebbe fatto polverizzando chi aveva potuto osare tanto.
Nel frattempo, sull'isola, Tharius tentava in ogni modo di recuperare le sue cose e di aiutare Dhelia ad alzarsi, mentre nello stesso momento provava a chiamare la dragonessa, sia con la voce che con il pensiero, anche se quest'ultimo erano solo caotici vortici di ragionevolezza estinta.
Alcuni sibili più forti degli altri lo fecero voltare di scatto. Avrebbero colpito l'atollo.
Sarebbe morto. Avrebbe finalmente lasciato quell'odiato mondo soffocato dall'acqua, avrebbe rivisto la sua famiglia. Gli dispiacque per Dhelia, lei voleva vivere. Ma come poteva voler continuare a vivere in un mondo del genere?
Ecco. Stavano per arrivare. Un respiro, solo uno e sarebbe tutto finito. Gli affanni, il dolore, la fatica, tutto quanto sarebbe scomparso nell'ombra di un respiro.
Poi, un lampo di luce.
Quando Tharius alzò il capo, riconobbe che i colpi erano esplosi a mezz'aria. Alzando ancor di più lo sguardo, gli sembrò che ogni cosa non avesse più un senso.
Un enorme creatura dal corpo tozzo fluttuava a pochi passi dalle loro teste, le nere squame sul dorso ricoprivano la tenera pelle giallastra che invece ammantava il ventre. Non aveva zampe, solo grandi membrane che fungevano da ali ed una lunga coda a lancia.
Sospiri di memoria gli fecero credere di aver già visto quell'animale.
Nel momento in cui questo si abbassò di quota, il ragazzo potè intravedere una figura decisamente dall'aspetto più umano che se ne stava immobile, in piedi ed a braccia conserte sulla schiena della creatura, noncurante del vigoroso ondeggiare generato dallo stare in equilibrio nel vuoto.
Avvolto in un lungo mantello nero, l'uomo fissò improvvisamente il viso del giovane.
Questa volta ne era certo, Tharius aveva già visto quell'individuo prima di allora, quelle inquietanti iridi di piombo. Era lo stesso uomo incontrato nella piazza di Isla Famria.
Fu proprio l'uomo a parlargli per primo, con un tono profondo e lapidario.
«ragazzo, faresti bene a darmi retta. Prendi e vattene da qui con il tuo draghetto, sparisci e non farti più vedere per un bel pezzo. Roduen e la confraternita del tempio di giada ti seguiranno fino in capo al mondo, se necessario. Ora che conosci l'origine della grande ondata, non puoi far altro che mettere fine alla follia che si è impadronita di questo mondo.»
Il rimbombo dei proiettili continuava incessante, eppure nessuno di loro raggiungeva l'isolotto. Deflagravano prima, quasi come se fossero fermati da una barriera invisibile. L'unica cosa che si poteva distinguere al momento delle esplosioni era una sorta di risucchio aereo.
«e... che cosa dovrei fare? Chi sei tu per sapere cosa è giusto che io faccia?»
L'uomo sorrise con espressione superba.
«io sono solo un "cacciatore", un mercenario al soldo di nobili fermamente convinti nei loro effimeri progetti di supremazia. C'è una guerra dietro la guerra, e voi ci siete appena entrati. Se hai domande a cui vuoi dare risposta, dirigiti a nord, verso i monti di ghiaccio boreali. Ora vattene, non riuscirò a fermare i proiettili ancora per molto.»
Tharius non ci pensò su due volte. Nel momento in cui vide le celesti scaglie di Meredyl che lo attendevano nell'acqua, raccolse il piccolo zaino ed aiutò Dhelia a prendere posto sulla sella della dragonessa.
In pochi attimi si lasciarono alle spalle i boati dei cannoni di Roduen, l'isola ed il cacciatore a dorso della creatura alata.
Il ragazzo si gettò a peso morto sulla cresta ossea dell'amica e lasciò che la fatica prendesse il sopravvento.
Quando riaprì gli azzurri occhi al mondo, era sera inoltrata.  

...



uriel karlum

:coolio: si, trecento è un film fico... ma gli spartani avevano i pettorali d'acciaio che scendevano in guerra senza armatura? ke baracconata.....

VIII

Quando Tharius posò il piede a terra, il crepitio della neve fu l'unico suono ad interrompere il silenzio quasi irreale che aleggiava sulla pianura, ammantata nella sua interezza di bianco accecante.
In lontananza, a settentrione, si poteva scorgere il solenne profilo di imponenti montagne d'avorio.
Il viaggio sul dorso di Meredyl era stato lungo e faticoso, anche e soprattutto per la dragonessa.
Dopo aver lasciato l'arcipelago delle Ushkas si erano diretti a est, verso le Zareio, con il fine di recuperare l'armatura del giovane cavaliere.
Una volta vestito del suo metallo, Tharius decise per i monti di ghiaccio boreali.
Si lasciarono alle spalle le acque calde degli arcipelaghi per entrare in quelle gelide ed inesplorate del profondo nord.
La decisione era stata un duro travaglio. Sebbene riluttanti a seguire le indicazioni dello sconosciuto cacciatore, il cavaliere ed il suo drago si convinsero di non avere altre scelte a disposizione.
Dhelia aveva già sentito parlare della confraternita del tempio di giada, così come anche di miriadi di altre associazioni segrete composte dai nobili delle isole che, servendosi degli sconfinati capitali che possedevano, si dichiaravano guerra per scopi oscuri e misteriosi. Anche se, in tutta sincerità, pensava che si trattasse solo di fantasie.
La ragazza ricacciò indietro tutti i suoi pensieri e liberò la mente. Davanti a lei Tharius incedeva sulla neve con passo sicuro.

Passarono due giorni di marcia estenuante tra le impervie montagne di ghiaccio, prima che le parole del misterioso cacciatore prendessero forma.
Superato l'ennesimo crinale montuoso, davanti agli sguardi allibiti di Tharius e della ragazza si aprì una bianca pianura sconfinata; al suo centro svettava solitario un minaccioso cono innevato dalla cui sommità scaturiva una densa cortina di fumo, eppure questa non saliva al cielo, tutt'altro, si divideva in varie spirali che avvolgevano l'intero profilo del vulcano fino al suolo, strangolando la montagna con un funereo e soffocante abbraccio.
«ci siamo» esordì Tharius con un tremito nella voce, «forse è questo il luogo di cui ci parlava il cacciatore, il luogo dove troveremo tutte le risposte per uscire da questa storia.»
«allora proseguiamo» lo incalzò Dhelia, «questo posto è tutto fuorché rassicurante. Facciamo in fretta.»
I ragazzi scesero con passo incerto dalla montagna. Quasi tutta la mattinata fu spesa a colmare la distanza che divideva la catena montuosa dal vulcano, lo spesso strato di neve appesantiva i respiri, inzuppava le vesti ed affievoliva le speranze.
Più volte Tharius pensò di rinunciare, di tornarsene a casa sul dorso di Meredyl, ma quella montagna sembrava attirarlo a sé con una forza inspiegabile, ed il ragazzo non fece nulla per resistervi. Credeva che forse, una volta raggiunto quel vulcano, avrebbe trovato il fuggevole motivo che tanto gli serviva per continuare a svegliarsi il mattino, a posare i piedi sulla terra, o su quella poca che era rimasta.
Arrivarono alle pendici del monte verso la metà del pomeriggio.
Un piccolo ingresso di pietra si ergeva dalla neve inclemente, segnalandosi con due piccole fiammelle che bruciavano alla base di rispettive colonne.
Il portale dava su un profondo e nero corridoio che si incuneava nel ventre della montagna.
Tharius sguainò la spada ed entrò, seguito a pochi passi da Dhelia.
L'interno si rivelò per il lungo ed opprimente cunicolo che era, le pareti spoglie ed irregolari, opera della natura, non certo di mani umane. Eppure nella penombra soffocante si potevano notare i strani rilievi che popolavano quelle pareti.
Tharius continuò ad avanzare a passi circospetti, finché il corridoio si gettò in una ampia stanza illuminata da migliaia di bracieri dorati e da alte volute di fiamme che si alzavano regolari dal pavimento. L'unico percorso libero dal fuoco era un lungo spazio diritto che portava dall'altro lato della sala ad una scalinata in oro massiccio, oltre la quale non esisteva più parete, ma solo un immenso muro di fumo che saliva lento dalla base sino al soffitto. Non un rivolo di nebbia si distaccava per la stanza, l'immensa colonna di vapore partiva dalle viscere del vulcano per poi uscire dalla sua sommità.
Tharius lanciò uno sguardo deciso alla ragazza dietro di lui;
«resta qui, vado a dare un'occhiata.»
Dhelia fece per rispondere, di dire al ragazzo di fare attenzione, ma questo aveva già voltato le spalle e si dirigeva verso la scalinata.
Una volta salitovi, iniziò ad esaminare la parete di fumo compatto. Provò ad immergervi le dita, a disegnarvi delle scie; il calore che in teoria avrebbe dovuto bruciargli i polpastrelli in realtà non era presente.
All'improvviso tutte le colonne di fuoco smisero di innalzarsi e si ritirarono nei fori bui da cui provenivano.
Tharius si scosse di un fremito inquieto. Si volse di scatto e vide che anche Dhelia, dall'altra parte della camera, aveva una espressione agitata.
Quello che successo subito dopo fece tremare il ragazzo dal terrore.
Lentamente, dall'impenetrabile cortina di vapore uscì una mano scheletrica, le cui unghie erano cinque piccole fiammelle. Poi fu la volta di un braccio, lungo fino all'inverosimile, smilzo e avvolto in una pelle bruno chiaro. Infine la creatura fece il suo ingresso completo nella stanza. Era alto poco più di tre volte il ragazzo; il corpo rinsecchito era tutt'ossa, in contrasto con l'ampio petto smisurato, dove nel di dentro brillava una vigorosa fiamma che faceva intravedere la sua terrea luce attraverso le costole.
Il muso era un teschio marcescente, lunghe corna come quelle dei montoni, e dalle vacue cavità ottiche si poteva ammirare il fuoco che vi bruciava all'interno.
Tra le zampe irte di artigli e le ginocchia prendeva posto una ulteriore articolazione, contraria rispetto alla rotula, così da permettere alla creatura di potersi elevare ancor di più di quanto già poteva fare.
Tharius cadde a terra, ai piedi della scalinata. Nonostante il caldo, il respiro si era gelato in gola, la paura per quel demone salito dalle viscere dell'inferno lo attanagliava e lo paralizzava al tappeto. Non poteva muoversi.
La spada era solo un lontano pensiero a cui la mano si stringeva.
La creatura ruggì con violenza, mentre Tharius serrò gli occhi, ormai certo della fine.
«come osi, tu le cui mani sono sporche di sangue, entrare in questo luogo sacro?»
la voce della creatura era così profonda da far pensare al ragazzo che fosse la stessa bocca degli inferi a parlargli.
«rispondi!» lo sollecitò il demone.
Tharius ripensò alle parole cui aveva appena ascoltato. Mani sporche di sangue. Si, lui aveva ucciso, ma non se n'era mai reso conto sul serio, non l'avevano mai giudicato per questo, ed in quel momento gli parve di essere di gran lunga peggiore della creatura che gli si parava innanzi.
«sono Tharius, dell'isola Tyomoe» rispose il ragazzo con voce tremante, restandosene a terra.
«Tharius... questo nome...» balbettò la creatura, che ad un tratto indurì lo sguardo, e le fiamme del petto e del volto presero a divampare con più forza;
«Tharius, il creatore della distruzione, l'angelo del vuoto!» sbraitò il demone, lanciandosi verso il ragazzo a braccia levate, «non ti approprierai della mia anima senza il mio permesso!»
il giovane scansò l'attacco rotolando di lato, ma le scarne braccia del demone ripresero a mulinare nell'aria, abbattendosi sul pavimento con forza devastante.
Tharius evitò a stento gli attacchi, si alzò in piedi e si mise a correre verso Dhelia, al lato opposto della stanza.
«Dhelia! Vattene di qui!» gridò il ragazzo, ma la creatura, con un gesto che il giovane non potè vedere, fece crollare parte della roccia che sovrastava l'uscita, ostruendo il passaggio.
Siamo in trappola...pensò Tharius, scosso da fremiti di spavento.
Strinse il pugno sull'elsa e si fece coraggio.
«non so chi tu sia, demone degli inferi, ma non sono colui che dici. Io sono qui per cercare risposte.»
«non sono risposte quelle che brami, o sommo accusatore» replicò la creatura fermando la sua corsa, «ma il potere ultimo, il potere che ti permetterà di aprire la breccia celestiale. Io, Mephestòs, signore delle fiamme scarlatte, non ti permetterò di compiere ciò che centinaia di anni fa è stato evitato.»
Tharius si riscosse per un momento, ripensando al diario che aveva letto ed a ciò che Meredyl aveva detto. Potere ultimo, breccia celestiale... che c'entri qualcosa con la causa della grande ondata?
La creatura riprese ad attaccare. Il giovane indietreggiò abbastanza per schivare i colpi delle unghie fiammeggianti, ma presto si accorse che stava portando il demone sempre più vicino a Dhelia.
«aiutami Tharius, aiutami!» gridava la ragazza in preda al panico.
Fu allora che il giovane si fermò all'improvviso, abbassando la spada.
«non siamo qui per combattere, signore del fuoco, e la ragazza alle mie spalle non ha colpe. Siamo qui per cercare risposte» ripeté il ragazzo in tono supplichevole.
«l'unica risposta è una morte lenta ed atroce!» si sgolò il demone, affondando le nocche verso Tharius.
Il giovane scansò di lato, poi capì il solo modo di porre fine alla battaglia. Passò sotto il braccio ancora abbassato della creatura e puntò la spada verso il torace, ora sufficientemente vicino per essere colpito.
Affondò con tutta la forza che aveva in corpo, gridando come un ossesso. Il demone ricambiò con un urlo agghiacciante, mentre le fiamme nel cranio e nel petto si affievolivano sempre più.
A poco a poco il silenzio si impadronì della sala.
La creatura si dissolse in una nube vermiglia, vorticò attorno a Tharius, lo alzò a mezz'aria ed infine gli penetrò nel cuore.
Il ragazzo potè sentire un dolore lancinante esplodergli nel torace, mentre cadeva a terra. Il buio lo avvolse per un attimo, un'oscurità popolata di un'unica voce.  
«in questo infausto giorno tu hai preso parte al mio potere. Tuttavia ti servirò come il nuovo padrone che sei. Quando avrai bisogno di me invoca il mio nome, Mephestòs, e lascia che il mio spirito ti venga in aiuto. Il potere delle lingue scarlatte sgorgherà dalle tue mani. Addio Tharius, figlio dell'acqua.»
La luce gli ferì gli occhi all'improvviso, mentre nelle orecchie un unico suono ovattato gli impediva di riconoscere tutto ciò che accadeva intorno.
Vide Dhelia che lo incitava a rialzarsi, poi a poco a poco l'udito riprese a recepire i rumori, ora angosciosamente chiari.
La stanza era smossa da tremendi scossoni, rischiava di accartocciarsi su se stessa da un momento all'altro.
«dobbiamo uscire! Alzati!» gridava la ragazza sempre più spaventata.
Tharius si mise in piedi a fatica, scrutò l'uscita ricoperta di massi e seguì la giovane attraverso un piccolo foro che, in seguito alle violente scosse, si era fortunosamente aperto nello strato di macerie.
Prima di ripercorrere il lungo corridoio, si fermò ad osservare i bassorilievi incisi lungo le pareti, che ora brillavano nel buio.
Riconobbe una figura umana e quattro rune diverse che gli circolavano intorno, più una sul capo. In alto, un grande cono luminoso si allargava nel cielo inghiottendo l'uomo e tutto ciò che lo circondava.
«che ti succede Tharius, dobbiamo uscire!» gli urlò la ragazza vicino alle orecchie, per ridestarlo dai suoi pensieri.
Il giovane annuì poco convinto e seguì Dhelia sin fuori dal vulcano.
Nel momento in cui uscirono, dalla bocca della montagna si innalzò una immensa colonna di fuoco.
«via di qui!» gridò Tharius, afferrando la ragazza per un braccio e lanciandosi in una corsa disperata attraverso la neve.

Oramai mancava poco alla spiaggia.
La marcia era stata lunga ed ininterrotta, e Tharius ebbe tutto il tempo di rammaricarsi per il poco che era riuscito a scoprire. Rimuginava senza sosta sulle enigmatiche parole del signore del fuoco, senza però riuscire a concludere granché. Poi, il bassorilievo, la voce che gli aveva parlato nelle tenebre, tutto quanto lo faceva andare in confusione.
Meglio troppi pensieri, che nemmeno uno, pensò.
Ad un tratto uno strano senso di vuoto lo colse. Il ragazzo si mise subito in allarme, ma quando realizzò ciò che poteva essere successo, il più bieco terrore lo colse.
«che ti succede?» domandò la ragazza al suo fianco.
«Meredyl... lei, non la sento più! È scomparsa!»
quando raggiunsero la riva in cui si erano lasciati, non vi era nessuna traccia della dragonessa.
«lei, lei... non può... io l'ho sempre avvertita, anche quando mi lasciava da solo, io sentivo che c'era, e adesso invece...»
«calmati Tharius...» tentò di rincuorarlo la ragazza, ma non c'era verso, il giovane era troppo sconvolto, si era gettato a carponi sulla spiaggia, i pugni stretti sulla neve.
Dhelia avvicinò il volto al suo, e vide una cosa che mai avrebbe pensato di vedere.
Sulla guancia pallida del giovane si allungava una minuscola, cristallina scia trasparente. Una lacrima.
Allora il mondo che tanto odi non ti ha privato per sempre di un cuore... pensò la ragazza, mentre gli carezzava il viso con dolcezza.
D'improvviso l'aria iniziò a comprimersi ed a dilatarsi con suoni cupi, l'acqua di colpo spazzata dal vento. Ali. Le stesse ali che avevano sentito nell'isola su cui avevano riparato dopo la fuga da Isla Famria.
Tharius alzò lo sguardo al cielo e vide la medesima tozza creatura che li aveva salvati, sul suo dorso ancora il misterioso cacciatore.
«non temere per la tua creatura, Tharius, guardiano del fuoco» esordì l'uomo con voce dura, «ora che lo spirito di Mephestòs ti appartiene, sei degno di conoscere la verità.»

...



uriel karlum

IX

«Immagina.
   Immagina una civiltà al culmine del suo splendore, dove scienza e tecnologia hanno raggiunto il loro massimo sviluppo, una civiltà in cui la popolazione, grazie al progresso medico, sia in grado di vivere fin oltre i suoi limiti naturali. Questa civiltà era l'antica stirpe.
Eppure un'ultima cosa rimaneva per loro incompiuta: sconfiggere la grande nemica di ogni essere, la morte.
Ma per piegare la morte, si necessita prima sapere che cosa sia la vita.
Si formarono infinite schiere di Equipe di ricerca, team di esperti nati con il solo scopo di carpire il segreto che da sempre non ci è dato a conoscere.
Dopo vani ed innumerevoli tentativi, scoprirono che tutto ciò che regola l'esistenza su questo pianeta, la vita di piante, animali ed esseri umani, era celato in un potere che esisteva sin dall'alba dei tempi, il potere degli elementi.»
Tharius e Dhelia seguirono il cacciatore oltre un basso crinale montagnoso. La neve cedeva con facilità sotto il peso dei loro passi.
«Se ovviamente si fossero fermati a questa piccola considerazione, non avrebbero fatto molta strada. Vennero così a conoscenza del fatto che ognuno degli elementi è regolato a sua volta da uno spirito  che ne racchiude il potere originale, forme materiali che chiamarono "spiriti dell'equilibrio". Quattro. Come gli elementi della vita, forgiatori dell'esistenza.»
«qualcosa non mi torna» interruppe Tharius con un sussurro, «nel diario che ho letto si parlava di cinque spiriti, o meglio quattro più uno.»
il cacciatore lasciò passare qualche attimo di attesa, durante il quale i due ragazzi non potevano tenere a freno una certa curiosità.
«le considerazioni che hai letto in quel diario sono frutto di ulteriori anni di studio da parte della stirpe antica. Ogni cosa, compresi gli elementi, non avrebbero senso senza una forma di ordinamento degli eventi, ovverosia il susseguirsi dei secondi, dei giorni, dei secoli. Il tempo. L'ultimo degli spiriti dell'equilibrio.
Una volta dimostrata l'esistenza di queste forme materiali, che alcuni solevano chiamare anche "Dei", passarono alla ricerca vera e propria. Volevano analizzare gli spiriti dell'equilibrio per comprendere l'origine del loro potere, ricrearla in laboratorio e ghermirla per essi. Una volta fatto ciò, la stirpe antica avrebbe potuto attingere ad una energia infinita, capace di dominare gli elementi stessi e quindi la vita che da essi scaturiva. Immortalità ed onnipotenza, ovvero divinità terrena. Ma qualcosa non andò esattamente come si aspettavano.»
«ti riferisci alla grande ondata?» interruppe Dhelia con un tremito della voce. Ora che stava venendo a conoscenza di pericolosi segreti sepolti da tempo, non era proprio sicura di volerli condividere. Ricordava ancora come Meredyl aveva tentato di mettere in guardia Tharius riguardo ai rischi in cui potevano incorrere.
«esattamente» riprese il cacciatore, «l'esperimento riuscì, ma in un attimo si scatenò il potere di tutti i nuovi spiriti messi insieme. Superfluo dirvi che accadde quando cominciarono gli esperimenti sullo spirito dell'acqua.»
A quelle parole Tharius venne attraversato da un fremito di paura. Improvvisamente gli fu chiaro il motivo per cui tutte quelle uova di drago marino trovate da Meredyl giacessero sul fondo di una città sommersa. Evidentemente lo spirito dell'acqua era un drago marino, e i ricercatori della stirpe antica tentarono di rigenerarlo in serie.
«quindi, vediamo se ho capito bene...» intervenne il ragazzo, «gli spiriti racchiudono il potere degli elementi, quindi di creare la vita e via dicendo... l'antica stirpe cerca di riprodurli in laboratorio ed un intero pianeta viene sommerso. I draghi marini si spargono nell'oceano. Ed ora nessuno sa dove siano questi dannati spiriti, a parte quello che abbiamo appena incontrato.» Tharius lasciò passare qualche secondo, convinto sempre più di essersi perso nei suoi stessi ragionamenti;
«ma io, in tutto questo, che cosa c'entro?»
a quella domanda il cacciatore si voltò a fissare il ragazzo, un ghigno indecifrabile dipinto sul volto.
«e quale credi che sia la missione di noi cacciatori, ragazzo? Hai raccolto lo spirito del fuoco eterno, Mephestòs, l'unico di cui conoscessimo l'ubicazione, ma che nessuno aveva mai osato affrontare. Ora fai anche tu parte della partita.»
«faccio parte della partita? Ma che stai dicendo? Ehi, dico a te! ehi!»
Ma ormai il cacciatore aveva voltato le spalle ed era salito sulla sua creatura alata. Fece un cenno di saluto e lanciò in direzione dei ragazzi uno strano sorrisetto.
«sarebbe fin troppo lungo da spiegare! Adesso procedi per due miglia verso est. Li troverai una baia, e nella baia troverai la tua cara amica. Addio, per ora...»
dopodiché il cacciatore spronò il suo animale su nel cielo plumbeo.
Tharius piantò di forza la spada per terra, sbuffando.
«dannato lui ed i suoi discorsi inconcludenti! Ora non so se so di sapere di più o so di sapere di essere ancora più confuso.»
Dhelia fissò il ragazzo di sbieco. Tra i due si sentiva lei la più confusa.
«non preoccuparti di lui, Tharius. Pensiamo ad aiutare Meredyl, ora» disse infine la ragazza.
«hai ragione. Non c'è tempo da perdere.»
I due ragazzi presero a costeggiare la spiaggia, attraversando una lunga distesa di collinette innevate con il solito, fastidioso crepitio che cantava sotto gli stivali. Il respiro si faceva via via più pesante.
Più tardi, quello stesso pomeriggio, si aprì davanti ai loro occhi una stretta insenatura che si gettava su un mare del blu più scuro che avessero mai visto. Nella minuscola baia stavano ancorate alcune corazzate simili a quelle che li avevano attaccati all'isola deserta.
Guardando bene, Dhelia si convinse che fossero proprio le stesse.
«Roduen non molla l'osso» sentenziò la ragazza con un filo di voce, scrutando oltre il crinale dietro il quale si erano appostati.
«sembra proprio avercela con noi, Dhelia. Forse rubargli il diario non è stata una scelta saggia.»
«già, lo credo anche io. Per fortuna che ci ha salvato quell'uomo e la sua strana creatura...»
Tharius non rispose. Ora che era più vicino, poteva avvertire la presenza della dragonessa accompagnargli i pensieri. Provò a fare uno sforzo ed a mettersi in contatto con lei.
«Meredyl, Meredyl, mi senti? Sono io, Tharius!»
passarono alcuni attimi, durante i quali il cuore del ragazzo prese a battere con più forza.
«Tharius? Sia ringraziato il cielo! È stato orribile! Li ho visti arrivare ma non c'erano insenature dove nascondersi, c'erano reti dappertutto, e lance, ed arpioni...»
«si va bene così Meredyl» interruppe Tharius, sapendo quanto costasse alla dragonessa ammettere di essere stata sconfitta, «ora veniamo a darti una mano.»
I due ragazzi cercarono di scendere facendo il più piano possibile. Non potevano sapere se qualcuno li stesse osservando dalle navi di metallo.
Arrivati alla minuscola spiaggia, Tharius fece cenno che la dragonessa si trovava probabilmente nella nave al centro. Avrebbero dovuto immergersi nell'acqua gelida, oltrepassare da sotto la nave più vicina e poi salire sull'ammiraglia.
«ma tu sei tutto pazzo!» esclamò la ragazza, facendo attenzione a rimanere appiattita al suolo.
«vedi altre soluzioni?» rispose a tono Tharius.
Fu così che dovette rinunciare alla sua idea ed attendere il crepuscolo. Dhelia non aveva ammesso repliche.
Nel frattempo la marea era calata di molto, facendo rimanere la baia quasi completamente in secca. Le navi erano dovute arretrare, così che i due ragazzi poterono avvicinarsi all'ammiraglia direttamente dall'ora vastissima spiaggia, senza immergersi più di troppo nell'acqua gelida.
Avanzarono con circospezione, la testa a pelo dell'acqua, per evitare di esporsi più di troppo. L'acqua ghiacciata era pesante, toglieva il fiato dai polmoni.
Finalmente si aggrapparono allo scafo della nave. Il metallo sembrava quasi tiepido in confronto all'oceano.
Salirono a fatica servendosi di alcuni fori imbastiti nella carena di ferro, la pelle che tremava, le dita intirizzite, tanto da sembrare che si potessero spezzare da sole da un momento all'altro.
Ripensarono ai caldi ed assolati giorni nelle isole, e fu quasi una tortura, poiché in quel luogo muto e gelido quei momenti sembravano lontani miglia e miglia.
«Meredyl, so che sei qui. Ma dove esattamente?» domandò il ragazzo. Usare la telepatia gli costava uno sforzo devastante.
«credo nella stiva. Mi hanno bloccata con delle funi. Ti prego Tharius, fa presto. Se rimango ancora per un po' fuori dall'acqua...
«Si, ho capito» interruppe il ragazzo. La possibilità che il suo drago morisse non gli voleva nemmeno passare per la testa.
I due azzardarono qualche passo sul ponte della nave. Fu Dhelia la prima a dire ciò che tutti e due già pensavano da molto.
«c'è troppo silenzio. Non si vede nessuno. L'odore di trappola è forte...»
«lo so» capitolò Tharius, «ma non possiamo tornare indietro.»
La ragazza tacque. Si mise in coda a Tharius e lo seguì con il cuore in pace ed i sensi all'erta.
Entrarono in quella che a prima vista sembrava la plancia di comando. Superarono una porta stretta e buia, dopodiché presero a scendere per corridoi che sembravano pertugi e scale che parevano cunicoli di una caverna, tanto erano ripide e opprimenti.
I cardini di un pesante portone di ferro spezzarono il silenzio; davanti a loro si aprì una stanza piuttosto ampia. Al centro, illuminata da strani congegni che emettevano fasci di luce fredda e accecante, stava una sagoma appiattita al suolo, una maestosa corolla ossea ora spossata, meravigliose scaglie azzurre ora incupite.
«Meredyl, sei tu!»
il ragazzo non fece in tempo a sorridere per l'amica che la stanza si illuminò all'improvviso. Accecati, i due ragazzi non poterono far altro che raggiungere la dragonessa.
«quale splendida sorpresa!»
la voce di Roduen risuonò con il suo tono possente in tutta la camera.
«vediamo un po' chi sono i due pesci che ho preso nella rete. Tu, con l'armatura, io non ti conosco, ma capisco che sei delle Zareio. Tanto mi basta per farti fuori. E tu...»
L'uomo diresse uno rivoltante sorriso verso la ragazza, «tu, povera, piccola, indifesa bastardella... come hai potuto venire a rubare nella mia casa?»
Il nobile dimenticò completamente l'etichetta e nella foga di quell'ultima frase parve rischiare un infarto.
«la prima volta siete stati fortunati ad incontrare Wortrend, ma questa volta... uccideteli tutti!»
Wortrend... così è questo il nome del cacciatore... Tharius non finì nemmeno il suo pensiero che una squadra di dodici uomini irruppe nella stanza, brandendo armi sconosciute che al ragazzo parvero tutto fuori che spade.
«poveri stolti...» rise di gusto Roduen, «non hanno neanche mai visto un'arma da fuoco prima d'ora. Lou, dagli una dimostrazione!»
Un tuono scosse l'aria.
Tharius sentì una fitta lancinante alla spalla. Quando abbassò lo sguardo, scorse un foro fumante nell'armatura, ed un tiepido rivolo di sangue che scorreva giù per il braccio.
Seguì un urlo terrificante. Il ragazzo pensò di non aver mai sentito un dolore tanto forte prima di allora. Le ferite che si era procurato in una vita di battaglie sembrarono concentrarsi tutte insieme, in un unico punto.
La vista iniziò ad annebbiarsi, le voci a farsi echi lontani. Riconobbe Dhelia urlare «Tharius, per l'amor del cielo!», ma non ne era sicuro.
Ad un tratto sentì una voce che non era come tutte le altre. Sembrava quasi provenire da un altro mondo.
«questo è il momento, figlio dell'acqua. Invoca il mio nome, invoca il mio nome!»
Tharius sentì una strana forza pervadergli le carni. Il corpo sembrava bruciargli attorno, tanto che per far smettere tale delirio pensò che l'unica cosa giusta da fare fosse quella di gridare. Ma dalla sua gola sgorgò una sola parola, chiara, potente, incommensurabile.
«Mephestòs!»
Le palme iniziarono a brillare, le braccia a scuotersi, l'aria a divampare.
Fiamme. Presto l'intera stanza ne fu invasa. Poi, il freddo, il buio.
Quando riaprì gli occhi, le stelle punteggiavano il nero manto del cielo. L'aurora tingeva di rosa l'orizzonte ad oriente.
Il dorso della dragonessa gli sembrò la cosa più comoda su cui potersi sorreggere. L'acqua scura scorreva veloce sotto di loro, e Dhelia lo tenne stretto in un lungo abbraccio. La spalla gli doleva enormemente.

«non potevamo di certo aspettarcelo, nobile Roduen.»
Il mozzo interruppe subito il suo più che vano tentativo di calmare il capitano. Il relitto fumante della nave ammiraglia spariva sotto le acque nere dell'oceano, mentre Roduen lo osservava inabissarsi dal ponte della corazzata d'appoggio.
«egli possiede il primo spirito, la prima chiave; gli ingranaggi hanno finalmente cominciato a girare. Date ordine a tutti i miei cacciatori, contattate gli altri membri della confraternita. L'alba dei tempi è alle porte.»  

...



uriel karlum

mi scuso per il tempo che c'ho messo, e che poi ovviamente mi sono ridotto a scrivere negli ultimi due giorni... cmqsia questa è una parte molto importante. enjoy :ninja:

X

La luce di una luna stanca ed affannata filtrava attraverso le fessure del tetto di paglia. La prima cosa che Tharius riuscì a scorgere fu la spessa fasciatura che gli avvolgeva la spalla. Con lo sguardo confuso mise a fuoco le luride coperte di un giaciglio improvvisato, infine notò uno strano oggetto tondo appoggiato su di un angolo i fondo al letto. Guardando meglio si accorse che quella era la testa di Dhelia.
La ragazza si svegliò non appena sentì lievi movimenti nelle lenzuola, si passò una mano sul viso e sorrise.
«sei sveglio. Finalmente. Erano due giorni che dormivi.»
«la spalla mi brucia ancora...» balbettò il giovane, provando a mettersi a sedere; «dove mi trovo?»
La porta sbattè di colpo, e in quel momento fece il suo ingresso nella capanna una donna corpulenta, dall'espressione burbera, ma che in sé celava una certa mansuetudine.
«te lo dico io dove ti trovi, ragazzo. Questo è il piccolo villaggio di Adornia, nelle isole Furimo. Il mio nome è Modrea, e sono il capo qui, mettitelo bene in testa. Due cose fanno arrabbiare la gente di questo villaggio. Le menzogne ed i guai. E dall'aria che ti ritrovi, sembri essere passato molto vicino ad entrambi» disse l'anziana, agitando minacciosamente l'indice sotto il naso di Tharius.
Dhelia scoppiò in una sonora risata; «non spaventarti Tharius, lo fa perché le piace sentirsi la massima autorità» esclamò la ragazza, che fino ad allora si era gustata l'intera scena divertita, «ma in realtà è una vecchina tanto dolce... è stata lei a toglierti la strana scheggia di metallo che avevi nella spalla.»
Il ragazzo rimase per qualche secondo senza dire nulla. Gli sembrava impossibile che quella donna tanto possente e ostile gli avesse concesso una tale gentilezza. Provò ad accennare un sorriso di ringraziamento, ma una fitta gli attraversò il braccio, deturpandogli il volto di una smorfia di dolore.
«non sforzarti troppo, ragazzo. Non vorrei che Dhelia ne avesse a male, visto quello che ha fatto per portarti fin qui...»
«Modrea!» gridò la ragazza, arrossendo all'istante.
«va bene, va bene. Vi lascio soli, avrete molte cose da dirvi...»
«di nuovo?» esclamò Dhelia imbarazzata, che non riusciva proprio a tenere a freno l'amica. Accompagnò la donna alla porta e rimase ad aspettare la prima domanda di Tharius.
«Dov'è Meredyl?»
«sapevo che l'avresti chiesto» sorrise amaramente Dhelia, senza però mostrarsi al giovane, «ma non devi preoccuparti. È in una delle scuderie abbandonate dall'esercito delle Furimo. Non credo se la stia passando male.»
Il ragazzo tirò un lungo sospiro di sollievo. Poi alzò lo sguardo su Dhelia, con espressione confusa e spaesata.
«perché siamo venuti fin qui?»
«Modrea è una mia cara amica. Prima di approdare a Isla Famria questo villaggio è stata per me una seconda casa, e lei una seconda madre. Si è presa cura di me per un po' di tempo, ma poi mi convinse anche di cercare una mia strada.»
«si capisco...» concluse Tharius, rimanendo però sospeso sull'orlo di una nuova domanda. C'era qualcosa infatti che lo turbava, una sorta di voragine nella memoria in cui non riusciva ad entrare. Esitò per un attimo, poi trovò il coraggio di parlare.
«che cos'è successo in quella nave?»
La ragazza rimase stupita. Saltò sul letto, incredula.
«che cosa? Ma davvero non te lo ricordi? Tharius, sei stato... beh... accidenti! Non ho mai visto una cosa del genere! Hai alzato le braccia, ha pronunciato quella parola, e poi... accidenti! Fiamme dappertutto, nascevano dalle tue mani, una ha liberato Meredyl dalle funi, un'altra ha disarmato i soldati ed un'altra ha quasi fatto un buco nello scafo, anzi lo ha proprio forato! Accidenti se non avevo mai visto prima una cosa del genere...»
«basta così» interruppe Tharius, al colmo della collera, «non mi interessa quello che è accaduto con il nome di quel demone. Prima mi potrò rimettere, e prima me ne potrò andare. Voglio dimenticare questa storia. Aveva ragione Meredyl. Ci siamo spinti troppo oltre. Continuare non ha alcun senso.»
Dhelia preferì non rispondere, anche se in cuor suo condivideva la scelta del ragazzo. Gli carezzò la fronte ed uscì dalla capanna.
   
I giorni trascorsero lieti nel villaggio di Adornia. Modrea faceva spesso visita a Tharius e, nonostante le frasi dure come la roccia, se ne prendeva amorevolmente cura. Nelle sue prime passeggiate all'esterno della capanna, il ragazzo scoprì come Adornia fosse un villaggio che si mantenesse saldo a tradizioni di pesca e semplice artigianato ligneo, grazie alla fitta boscaglia che sorgeva all'altro lato dell'isola. La prima cosa che il giovane fece fu naturalmente di recarsi a saggiare le condizioni di Meredyl, che Tharius trovò in forma smagliante. Il ragazzo comunicò all'amica dragonessa della sua decisione di interrompere le ricerche, e Meredyl ne fu più che compiaciuta.
Le settimane passavano tranquille e serene. Il sole stendeva sul mare un velo dorato ed il vento soffiava tra le fronde con una melodia incantevole ed ammaliante. A poco a poco Tharius si convinse di aver trovato un minuscolo angolo di paradiso, che gli ricordava incommensurabilmente la calma e la pacatezza di Isla Tyomoe, la sua vecchia isola natia. Si accorse di dimenticare lentamente tutto ciò che gli aveva procurato tanto dolore; gli spiriti dell'equilibrio, Wortrend e le confraternite. Quando si immergeva nel folto della foresta, Tharius immaginava una terra senza guerre, con mare e montagne come al tempo dell'antica stirpe. Già, l'antica stirpe. Che popolo fortunato ed incosciente. Avevano il paradiso tra le mani, e se lo lasciarono scappare come sabbia tra le dita.
Questo pensava Tharius, convincendosi di stare nell'unico posto che più rassomigliava alla sua idea di mondo.  

La notte calò lesta, una sera di quasi tre settimane dopo l'arrivo ad Isla Adornia. Tharius augurò un buon sonno a Meredyl; Dhelia veleggiava nell'oceano dei sogni solo qualche capanna più in là.
Il ragazzo lanciò uno sguardo rapito alle stelle, dopodiché si recò al capanno per una quieta dormita.
Le palpebre si serrarono in un istante, e in un istante si riaprirono.
Il riflesso di una spettrale luce scarlatta filtrava attraverso le fessure nel tetto e nelle pareti, inondando la capanna di uno strano sentore. Il ragazzo si chiese per un secondo se si trovasse per caso in un sogno, ma quando si alzò e raggiunse l'uscio, capì come quella fosse l'incontestabile realtà.
Le grida di paura, il terrore negli sguardi, i secchi colmi d'acqua che venivano frettolosamente passati di mano.
Il villaggio andava a fuoco.
«sono nel porto! Sono nel porto!» ripeteva la gente tra gli spasmi.
Il porto... la scuderia... Meredyl!
Tharius non fece in tempo a voltarsi che un sibilo assordante sorpassò il buio sopra la sua testa. Il boato che seguì scosse le fiamme e l'esplosione si allargò come una macchia di sangue nell'acqua, mentre una pioggia di schegge di legno bruciato graffiava il nero della notte con lunghe scie cremisi.
Già una volta aveva veduto gli strumenti in grado di fare tutto ciò.
Come ho fatto a non accorgermi di quello che stava succedendo? Si domandò il ragazzo, rimandando però qualsiasi spiegazione. Si lanciò per la strada in direzione delle scuderie, con l'intento di trovare la sua dragonessa. Fu in quel momento che Dhelia gli si parò dinanzi.
«dannazione Tharius? Dov'eri finito?»
«io... io... dov'è Meredyl? Non mi sono svegliato... dov'è Meredyl?»
«non ti sei svegliato?» gridò Dhelia, a metà tra l'incredula e furiosa, «Meredyl non è alle scuderie» concluse con voce quasi trasparente.
Questo Tharius quasi se lo aspettava, così provò a raggiungere la dragonessa con il pensiero. Una fitta gli lacerò improvvisamente il cranio. Qualcosa gli impediva di arrivare a Meredyl. Non era Mephestòs, immancabile presenza racchiusa in un angolo della sua mente sin dall'incontro ai monti di ghiaccio.
Finalmente dalla fitta cortina che gli ottenebrava l'animo crebbe uno spiraglio di luce.
L'isola... dall'altra parte dell'isola!
Tharius riconobbe immediatamente la voce della dragonessa.
Afferrò Dhelia per un braccio e si lanciò in una folle corsa verso la spiaggia oltre la foresta. Ma una volta raggiunto il centro del villaggio, Wortrend e la sua tozza serpe alata sbarrarono il passo ai due ragazzi.
«osserva! Osserva ciò che Roduen sta commettendo per ritrovarti! Questo è l'uomo  che brucia l'uomo! Sete di potere e brama di sangue!»
«zitto, sta zitto!» gridò Tharius con tutto il fiato che aveva in corpo, «perché mi perseguiti? Perché non mi lasciate in pace?»
«perché questo non è ciò che vuoi, custode delle chiavi» rispose il cacciatore con voce solenne; «per quale motivo decidesti di abbandonare la ricerca? Guarda dietro di te, ecco che cosa hai provocato, restando qui!» Wortrend spaziò con il braccio, quasi a voler mostrare tutto il villaggio nella morsa delle fiamme, e le innumerevoli corazzate che illuminavano a giorno il mare con i lampi dei loro cannoni;
«stai giocando una partita dal quale non ci si può ritirare.»
«di nuovo questi discorsi senza senso? Ma che vuoi da me Wortrend? Che vuoi da me?»
«voglio che tu continui la tua missione. Quale credi che sia lo scopo di noi cacciatori? Ti ho parlato dei quattro spiriti, e del loro potere. Ma ti ho anche detto del quinto spirito. Se pensi che non abbia alcun senso raccoglierli tutti, ti sbagli. Poiché quattro rappresentano la strada per il potere, cinque significano spalancare le porte dell'assoluto.»
«le porte? Ho già sentito queste farneticazioni... che cosa sono?» domandò il ragazzo, sempre più confuso.
«le porte del cielo, giovane Tharius! Le porte che ci condurranno ad un nuovo mondo, libero da questa guerra infinita e da questa condizione di isole sperdute in un oceano troppo grande per noi. Ho imparato a conoscerti giovane Tharius, e so che questa è la cosa a cui aneli più d'ogni altra.»
Il ragazzo non potè far altro che ascoltare le parole del cacciatore senza muovere un muscolo, fino a quando una domanda gli sorse spontanea.
«perché fai tutto questo per me? Mi indichi luoghi sconosciuti, mi fai partecipe di segreti conosciuti solo alle confraternite...»
di tutta risposta Wortrend scoppiò in una sonora risata.
«credi che io non stia tutelando i miei interessi? Colui che custodirà le cinque chiavi avrà la facoltà di scegliere chi portare nel nuovo mondo. Ecco perché le confraternite assoldano i cacciatori, ed ecco perché io ti appoggio nella ricerca. Confido nella tua futura contropartita.»
«ti stai comprando un posto per il paradiso? Sei squallido» intervenne sprezzante Dhelia.
«se la vogliamo mettere in questi termini... ma chi è qui il più squallido? Chi ricerca la strada, o chi è sceso in battaglia e sparso sangue fino a ieri? Stiamo tutti cocendo nel nostro brodo; io faccio solo i miei interessi.»
Tharius abbassò lo sguardo. Sapeva bene chi era colui che aveva sparso sangue. Dhelia capì il suo sconforto e lo afferrò per un braccio.
«vieni, andiamo via di qui.»

In poco tempo raggiunsero l'altro lato dell'isola, salirono su Meredyl e si lasciarono alle spalle l'immenso rogo di Isla Adornia, mentre poche navi di fortuna prendevano il largo colme dei profughi del villaggio, prima fra tutti, Modrea.
Il silenzio era una parete insormontabile. La dragonessa nuotò per ore, fino a che non riuscì più a trattenersi. Si bloccò in mezzo al mare nero e si rivolse al suo cavaliere.
Che hai intenzione di fare dunque, piccolo Tharius?
Il ragazzo fece un lungo sospiro.
«si va avanti.»  

...